36TFF. Unthinkable, la recensione

Alex è un ragazzo svedese, impacciato e taciturno. Da una parte vive in un ambiente familiare soffocante, a causa di un padre iroso e violento; dall’altra alimenta un grande amore per Anna, sua coetanea con cui condivide la passione per la musica.
Ma arriva il giorno in cui l’equilibrio fragilissimo fra i suoi genitori s’incrina e, contemporaneamente, Anna è costretta a lasciare la città.
Se il film si basasse esclusivamente sulle dinamiche familiari e la storia d’amore del protagonista, sarebbe un disastro. Per fortuna, dopo i primi tre quarti d’ora, tutto cambia.
Unthinkable, film diretto dal collettivo Crazy Pictures (nella persona di Victor Danell), e presentato nella sezione After Hours del 36esimo Torino Film Festival, si rivela, inaspettatamente, un appassionante lungometraggio d’azione.
Infatti, nella seconda metà, la storia divampa con sequenze eccezionali di esplosioni e guerriglia. La regia è in grado di inchiodarti allo schermo, sia per la tensione ben strutturata, sia per il mistero legato a questo attacco, perché di attacco si tratta, senza apparente spiegazione.
Ma questo non basta a salvare il film: l’intero intreccio psicologico dei personaggi è trito e indigesto, i risvolti mélo raggiungono le peggiori vette di patetismo e la rivelazione dell’enigma principale risulta didascalica e gratuita; ma, per fortuna, lo svelamento in coda al film, dona un poco di sollievo allo spettatore depresso e sfibrato.
Questo colossal svedese pare cerchi disperatamente di creare empatia con il protagonista, o almeno con i comprimari, generando l’esatto opposto. E un paio di sequenze sono riuscite a raggiungere un tale livello di ridicolaggine, da generare degli applausi sarcastici in sala.
Unthinkable funziona, quindi, per l’azione messa in scena in maniera eccezionale, per la tensione dell’improvvisa e inaspettata Apocalisse e per il finale che svela le vere motivazioni di ciò che si è visto nelle due ore precedenti. Per tutto il resto no.
Michele Cappetta
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