Alla ricerca di Dory, la recensione

È trascorso ormai un anno da quando la smemorata Dory ha affiancato l’amico Marlin nella disperata corsa contro il tempo per ritrovare e liberare il piccolo Nemo, rinchiuso in un acquario nello studio di un dentista. Adesso, Dory vive felice e spensierata con i nuovi amici nella barriera corallina ma qualcosa si prepara a scuotere nuovamente la sua vita: un ricordo improvviso attraversa la sua mente riportandole alla memoria di avere una famiglia che probabilmente, da qualche parte dell’oceano, la sta cercando. Provando a dare un senso alla sua frammentaria memoria, composta solo da pochi e apparentemente inutili indizi, Dory intraprenderà una nuova avventura nello sconfinato blu per ritrovare la madre e il padre. Nella spericolata ricerca, che la condurrà dritta nel Parco Oceanografico della California, Dory sarà accompagnata ancora una volta dall’ansioso Marlin e dal piccolo Nemo.

Tredici anni dopo l’uscita nelle sale di Alla ricerca di Nemo, negli studi Pixar viene maturata l’idea che tra i tantissimi e fantasiosi personaggi creati anno dopo anno ce n’è uno in particolare che – paradossalmente – non riesce ad essere dimenticato al punto da meritare un film proprio, passando così da personaggio secondario a protagonista assoluto della vicenda. Parliamo della simpatica e smemorata Dory, pesce chirurgo che vive nella barriera corallina e affetta da perdita della memoria a breve termine.

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Un percorso di crescita singolare, quello di Dory, indubbiamente ammirevole grazie ad un lavoro davvero certosino svolto da Andrew Stanton, creatore della storia e co-sceneggiatore sia di Alla ricerca di Nemo che di quest’interessante operazione che si colloca a metà strada tra un sequel diretto e uno spin-off. Nel 2003, infatti, Dory fu creata con la specifica funzione di personaggio spalla. Un personaggio sopra le righe, frizzante, che grazie alle sue continue perdite di memoria si rendeva protagonista di tutti i momenti più divertenti del film e aveva lo scopo di alleggerire – emotivamente parlando – la drammatica ricerca di Marlin, un papà tanto premuroso quanto ansioso e disperato per la perdita del figlio, il piccolo Nemo. Tredici anni dopo, Stanton torna a parlare di Dory poiché consapevole che si tratta di un personaggio spalla complesso, sfaccettato ed originale, con ancora molte cose da raccontare. Ecco dunque che in Alla ricerca di Dory il ruolo dell’irriverente pesciolino giallo e blu cambia drasticamente, non solo da personaggio secondario a protagonista, Dory getta via la “maschera” comica per mettere in luce una personalità altamente drammatica ed intricata, frutto di un handicap della memoria che l’ha condotta, da piccola, ad allontanarsi dalla sua famiglia, perderla e dimenticarsi di averne una.

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C’è ben poco di comico, questa volta, in Dory, così come all’interno di tutto il mondo immaginato e creato nel film dove sfilano molti personaggi – tra i vecchi e i nuovi – ognuno dei quali soffre di uno specifico disturbo della personalità o handicap fisico. Dalla smemorata Dory al piccolo Nemo, nato con una pinna più piccola dell’altra, dall’irascibile e misantropo polipo Hank a Destiny, uno squalo balena miope ma dal cuore d’oro, fino ad arrivare a Bailey, un beluga ipocondriaco convinto che il suo biosonar di ecolocalizzazione sia difettoso. Insomma, un colorato, frenetico e divertente oceano di freak quello messo in scena in Alla ricerca di Dory dove tutto, però, funziona nel verso giusto e dove la consueta magnificenza visiva – che ormai non sorprende più nei prodotti a marchio Disney Pixar – si coniuga perfettamente a classici valori che il film vuole e riesce a comunicare senza mai diventare didascalico o patetico.

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In Alla ricera di Dory, così come anche nel primo film, sono ben evidenziati alcuni concetti basici come l’importanza del nucleo famigliare e dell’amicizia, il valore del coraggio e il peso dei sentimenti, indistruttibili e soprattutto indimenticabili dal momento che sono l’unica cosa che Dory non riesce a dimenticare nonostante le sue continue perdite di memoria. Concetti e valori che, in un’altra situazione, sarebbero risultati sicuramente prolissi e zuccherosi ma che in Alla ricerca di Dory non disturbano e risultano vincenti grazie ad uno spiccato senso della narrazione che focalizza la sua attenzione su un’avventura frenetica, ricca di personaggi e situazioni tanto divertenti quanto emozionanti.

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Sicuramente questa volta Disney Pixar ci cala all’interno di un film d’animazione meno sperimentale rispetto al precedente Inside Out e dal respiro più classico, con animali parlanti ed un’avventura più fisica che concettuale, ma nonostante ciò la missione degli studi Pixar di realizzare film d’animazione capaci di parlare ad un pubblico molto vasto, fatto di piccini ma anche grandi, continua ad essere portata avanti con estrema scaltrezza e maestria. Conclusa la bellissima e riflessiva sequenza finale, sullo scorrere dei titoli di coda, come accade sempre nelle produzioni a marchio Pixar, ci si domanda se ci sia più da apprendere per un bambino o da riflettere per un adulto. La ragione, sicuramente, risiede in ambedue le cose.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • Dopo tredici anni, il mondo di Alla ricerca di Nemo non accusa minimamente il peso del tempo.
  • A metà strada tra un sequel e uno spin-off, Alla ricerca di Dory riesce a portare in scena un’avventura tutta nuova che non soffre minimamente di deja-vu.
  • Il lavoro svolto su Dory, da semplice spalla comica a protagonista, è esemplare.
  • Se da una parte è emozionante ritrovare e rivivere i vecchi personaggi, dall’altra risultano vincenti le new entry, in particolare il polipo Hank.
  • Sceneggiatura avvincente e frenetica. Non c’è mai un calo di ritmo.
  • La lunga sequenza finale è leggermente improbabile, ma stiamo pur sempre parlando di un film d’animazione con pesci che parlano.
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