Analisi di un Cult. Le iene di Quentin Tarantino

Le iene

I bravi artisti copiano, i grandi rubano”. Queste parole di Quentin Tarantino (in realtà rubate a Pablo Picasso) dicono molto sullo stile del regista, sul suo continuo gioco di citazioni e furti a classici (e non solo) del cinema mondiale. Oggi il suo stile immediatamente riconoscibile da chiunque ed è osannato da pubblico e critica, ma per arrivare a questo punto anche lui ha dovuto intraprendere il proprio percorso.

Un percorso che inizia con degli uomini in giacca e cravatta seduti a un bar che parlano di Like a Virgin di Madonna e di “violini” che suonano solo per le cameriere. Questi uomini sono Mr. White (Harvey Keitel), Mr. Pink (Steve Buscemi), Mr. Orange (Tim Roth), Mr. Blonde (Micheal Madsen), Mr. Brown (lo stesso Quentin Tarantino) e Mr. Blue (Edward Bunker). Questi nomi, ispirati dai banditi de Il Colpo della Metropolitana di Joseph Sargent, diventeranno poi fondamentali per lo svolgimento del film. Gli uomini che parlano di idiozie al bar infatti sono impegnati nell’organizzazione di una rapina in una gioielleria, ma non si conoscono tra loro e usano lo stratagemma dei soprannomi per evitare di rivelare le rispettive identità in caso uno di loro venga arrestato. Già da questa prima scena, divertentissima e indimenticabile, si rende evidente quello che sarà il marchio di fabbrica dei film di Tarantino: quei dialoghi fitti, insistenti, volgari, spesso inconcludenti ma che riescono sempre a catturare totalmente l’attenzione e a strappare una risata.

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Effettivamente qualcosa nel piano va storto: la rapina si trasforma in una sparatoria con la polizia, alcuni membri della banda muoiono mentre altri riescono a fuggire verso il capannone fissato come luogo di ritrovo. La maggior parte del film si svolge qui, in una singola stanza, dove si ritrovano l’esperto Mr. White, il giovane e ferito Mr. Orange (con cui Mr. White sviluppa una specie di rapporto paterno vista la gravità delle ferite del ragazzo) e il pignolo Mr. Pink. Al fulcro della narrazione c’è il tentativo da parte dei vari personaggi di ricostruire che cosa fosse appena successo, iniziando un gioco nel quale i nomi in codice dei vari personaggi continuano a incastrarsi e ad accusarsi l’un l’altro, portando lo spettatore a cercare di ricostruire tutta la storia a propria volta.

Le iene Già da questa prima opera, infatti, si può vedere quella segmentazione temporale degli avvenimenti che caratterizzerà in particolare Pulp Fiction, probabilmente il film più identificativo dello stile di Tarantino. In un alternarsi continuo di flashback ambientati gli uni prima o in contemporanea agli altri, il film porta pian piano tutte le risposte che all’inizio sembrano sfuggirci, riprendendo il tema narrativo usato da Stanley Kubrick in Rapina a Mano Armata (The Killing), uno dei primi film del regista, caratterizzato proprio dalla struttura temporale non lineare con cui narra le vicende di un complesso furto all’ippodromo dal punto di vista dei vari personaggi e con continui salti avanti e indietro nel tempo.

L’ambientazione del capannone/rifugio protagonista di gran parte del film è allo stesso tempo luogo sicuro e trappola dalla quale non si può fuggire, il set di un teatro in cui i personaggi sono incastrati e costretti a rivelare gradualmente le maschere dietro le quali sono nascosti attraverso i loro nomi in codice. Questo luogo chiuso ed opprimente dove hanno luogo gli avvenimenti del film, ricorda quell’automobile in cui sono bloccati gli ostaggi dei rapinatori di Cani Arrabbiati di Mario Bava (che probabilmente ha anche ispirato il titolo originale del film Reservoir Dogs). Come in quel film, inoltre, uno dei tratti distintivi de Le Iene e che contraddistingueranno poi tutta la carriera di Tarantino, è la violenza. Ma se in Pulp Fiction e nei suoi film successivi la violenza è così esagerata da sembrare comica e irreale, la violenza di Le Iene è di tipo diverso, è una violenza più realistica, più cruda, più brutale, che esplode nella famosissima scena della tortura di Mr. Blonde (che poi scopriremo fratello del Vincent Vega interpretato da John Travolta in Pulp Fiction) ai danni dell’agente Marvin Nash (Kirk Baltz) sulle note di Stuck In The Middle With You degli Stealers Wheel, accostando all’estrema violenza della scena la scelta di una canzone orecchiabile, divertente, ballabile, e che stride con la gravità degli avvenimenti (altro elemento che tornerà molte volte nella filmografia del regista americano) sottolineando la follia del personaggio che ha causato l’inizio della sparatoria.

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Secondo i protagonisti infatti la presenza della polizia non poteva essere casuale: qualcuno della banda aveva fatto la spia. Questo qualcuno effettivamente è Mr. Orange, il ragazzo, che in realtà altro non è che un poliziotto sotto copertura, che ironicamente è stato ferito non durante lo scontro a fuoco con la polizia, ma fuggendo dalla rapina da una signora mentre cercava di rubarle la macchina con Mr. White. Nel finale si crea quindi uno stallo alla messicana, anzi alla Sergio Leone, citando un altro regista tanto amato da Tarantino, in cui gli organizzatori del colpo che hanno reclutato i vari membri della banda arrivano finalmente al capannone/rifugio accusando Mr. Orange di essere la spia. Mr. White, che prova una particolare simpatia per il giovane morente, lo protegge, arrivando allo scontro a fuoco finale. Alla rivelazione di Mr. Orange della verità delle accuse e al tradimento della fiducia e della simpatia di Mr. White arriva la definitiva strage, da cui si salva solo il pavido Mr. Pink, che verrà comunque arrestato poco dopo dalla polizia.

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Per quanto la trama di Le Iene possa sembrare a suo modo già vista e parte di un genere cinematografico consolidato (oltre ai film già citati è evidente anche la somiglianza delle vicende con quelle del film hongkongese City on Fire di Ringo Lam), la firma di Tarantino appare fin da subito chiara, fresca, evidente e rivoluzionaria, tanto che Jami Bernand del New York Daily News dirà del film:

Non penso che il pubblico fosse pronto. Non sapevano cosa fare con Le Iene. Fu come il primo film muto, quando la gente vide il treno che arrivava verso la telecamera e uscì dalla sala di proiezione.

Mario Monopoli

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