Appena un minuto, la recensione

Claudio è un agente immobiliare, un cinquantenne spiantato che vive ancora in casa con sua madre e costretto ad ogni tipo di umiliazione da parte della sua ex-moglie che lo ha lasciato per Manfredi, il “Re della Zumba”, portandosi via anche i suoi due figli adolescenti, Greta e Luca. A dare man forte a Claudio, tuttavia, ci pensano i due amici Simone ed Ascanio che un bel giorno gli consigliano di ricominciare daccapo iniziando proprio dai dettagli: buttare il vecchio cellulare e comprarsi un tecnologico smartphone. Claudio segue il consiglio dei suoi amici e subito si reca in un negozio gestito da cinesi per acquistare un telefono moderno e a prezzo contenuto. Qui, ad attenderlo, trova un anziano venditore cinese che gli vende un particolarissimo smartphone che consente a Claudio di portare indietro il tempo di sessanta secondi. Euforico per l’acquisto, Claudio inizia sin da subito ad usare l’aggeggio tecnologico per soddisfare piccoli capricci effimeri ma, pian piano, capirà che quei “sessanta secondi” possono essergli sufficienti per raddrizzare pezzo dopo pezzo la propria vita partendo proprio dal rapporto disastrato che ha con la sua famiglia.

Tanto cinema di successo arrivato in un’era post-moderna deve la propria fortuna ai viaggi nel tempo e un esempio banalissimo, fornito nemmeno troppo a caso, possiamo individuarlo nella trilogia cult di Robert Zemeckis Ritorno al futuro. Tornare indietro nel tempo, e alcune volte fare persino un balzo nel futuro, diventa così una formula narrativa cinematografica vincente che solletica l’immaginazione degli spettatori e consente ai protagonisti di turno di rimediare all’irrimediabile sconfiggendo quel “nemico” universale che accomuna tutti: il Tempo.

Modificare errori passati o futuri, dunque, per far si che le cose vadano nel modo “giusto”, ricevere una fantascientifica seconda chance per poter idealmente abbracciare quel favolistico “e vissero tutti felici e contenti” che troppo spesso (sempre!) manca nella vita di tutti noi.

Alla sua seconda regia cinematografica – se escludiamo la co-regia de La solita commedia: InfernoFrancesco Mandelli si cimenta proprio con un film sui viaggi nel tempo, una commedia perfettamente allineata ai moderni meccanismi del nostro cinema ma desiderosa di strizzare l’occhio verso quell’elemento “fantastico” che diventa il motore dell’intera narrazione.

L’espediente temporale, tuttavia, viene affrontato da Mandelli in modo tanto ironico quanto funzionale così che il vantaggio offerto al protagonista è decisamente “limitato” e non sta nella facoltà di attraversare le epoche o gli anni, bensì tornare indietro nel tempo “solamente” di sessanta secondi, un tempo così ridotto da essere utile a rimediare solamente ad uno sbaglio “in tempo reale”. Una modifica, così, destinata ad andare a braccetto con la coscienza immediata e non con quella maturata negli anni.

Avvicinando un elemento fantasioso/fantascientifico decisamente sciocco, ossia uno smartphone modificato che ci ricorda tanto il telecomando di Click, la blanda commedia con Adam Sandler, Mandelli approccia l’elemento sovrannaturale in modo apparentemente ingenuo ma in realtà utile ad omaggiare quella semplicità fantascientifica che caratterizzava molti film o serie televisive prodotte negli anni ottanta in cui bastava un comunissimo elemento “tecnologico” per imbastire epici racconti fantascientifici. Appena un minuto, infatti, sembra guardare al cinema degli anni ’80 con una certa insistenza tanto che alcuni momenti del film sono ricalcati in modo piuttosto esplicito su intramontabili cult prodotti in quel decennio come Gremlins o Ritorno al futuro – Parte 2.

L’idea potenzialmente efficace e divertente, tuttavia, non svolge bene il proprio compito così che l’attore de I soliti idioti non riesce a spremere a dovere la bizzarria alla base del proprio plot finendo per piegarsi in modo eccessivo alla moderna e bidimensionale macchina della commedia italiana.

Scritto da Max Giusti – anche protagonista del film – insieme agli sceneggiatori Igor Artibani e Giuliano Rinaldi, in Appena un minuto è proprio la sceneggiatura a compiere i primi veri passi falsi poiché non riesce mai a sfruttare fino in fondo il potenziale comico che potrebbe scaturire da un incipit di questo tipo fino a naufragare in un secondo tempo particolarmente fiacco e moralista in cui il viaggio nel tempo diviene il semplice “veicolo” per consentire al protagonista di porre ordine all’interno dei suoi affetti (un po’ come avveniva, con ben altri risultati, nella bellissima commedia Questione di tempo di Richard Curtis).

E così Appena un minuto finisce per essere una commedia come tante, anche qualitativamente più scarsa, in cui viene raccontata in modo costantemente macchiettistico la vita incasinata di un uomo che vive con una madre (Loretta Goggi) innamorata dell’uomo delle previsioni, un padre (Massimo Wertmüller) col pallino fisso del sesso, un’ex moglie scappata di casa con il guru della zumba (Dino Abbrescia) e due amici scansafatiche (l’onnipresente Paolo Calabrese e lo spaesato Herbert Ballerina) che non fanno altro che rifilare pessimi consigli. Insomma si, tanti stereotipi e situazioni già vista in almeno un milione di recenti commedie italiane.

Purtroppo, a fine corsa, ci si rende conto che un ulteriore anello debole della catena è proprio il Max Giusti protagonista che, nonostante la verve brillante che dimostra di avere in qualità di imitatore e conduttore televisivo, nel film di Mandelli non riesce mai a trovare la giusta dimensione finendo irrimediabilmente all’ombra di qualunque altro personaggio in scena.

Con una storia del genere fra le mani si poteva sicuramente fare di più. Si doveva fare di più. Invece Francesco Mandelli non è riuscito a sottrarsi a quei rigidi e ormai vetusti meccanismi che continuano ad animare la stanca e sempre meno ispirata commedia italiana di oggi. Chissà cosa farebbe adesso, lo stesso Mandelli, con uno smartphone capace di tornare indietro nel tempo fra le mani?

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
L’incipit del racconto, benché semplice rappresenta una simpatica variante nel panorama mummificato della commedia italiana.

Qualche ammiccamento ad alcuni intramontabili cult anni ottanta.

L’incapacità totale di gestire l’elemento “fantastico” finendo preda dei logori meccanismi della solita commedia.

Non si ride ma si sbadiglia tanto.

Max Giusti è un protagonista che non funziona.

Troppe situazioni viste e riviste chissà quante volte.

 

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