Balto e Togo – La leggenda, la recensione

Leonhard Seppala è uno dei migliori musher di Nome, in Alaska. Quando sua moglie Kiana muore di parto, Leonhard capisce che deve iniziare a mettere da parte la sua professione da conducente di cani da slitta per dedicarsi a tempo pieno all’attività di padre. Nel 1925, tuttavia, le cose subiscono una sferzata improvvisa: uno scoppio di difterite sta facendo ammalare tutti i bambini del paese e il brutto tempo rende ardua qualunque possibilità di far arrivare a Nome l’antitossina per combattere la malattia. Appurata l’impossibilità di viaggiare via mare e via aereo, resta un solo modo per recarsi a Nenana, la città più vicina, e recuperare in tempo il prezioso farmaco: mettere in piedi una staffetta di musher e percorrere 91 miglia tra la neve, il ghiaccio e le intemperie. Inizialmente titubante, Leonhard capisce che non c’è altro da fare per il bene del paese e quello di sua figlia Singrid: deve salire sulla sua slitta un’ultima volta e affidarsi alla sua infallibile muta di cani da slitta capeggiata dal vecchio ma tenace cane Togo.

Non è cane, non è lupo. Sa soltanto quello che non è!

Molti nati tra la fine degli anni ’80 e i primissimi anni ’90 potranno ricordare bene queste parole pronunciate da Boris, la simpatica oca russa che nel bellissimo film d’animazione Balto (Simon Wells, 1995) aiutava l’eroico animale a quattro zampe a fare chiarezza sulla propria identità così da riscoprire le proprie nobili origini.

Balto, appunto, meraviglioso esempio di cinema d’animazione prodotto dalla Amblimation di Steven Spielberg e desideroso di raccontare in chiave animata il drammatico avvenimento storico accaduto proprio nella cittadina di Nome e che, nell’inverno del 1925, ha strappato la vita a moltissimi bambini.

Una storia di morte e salvezza che ha portato, anni dopo, ad erigere a Central Park una statua in onore di Balto, l’impavido cane eroe, per celebrare l’indomabile spirito dei cani da slitta e dei loro musher che riuscirono a trasportare l’antitossina nonostante le condizioni climatiche decisamente avverse.

Eppure, per anni, c’è chi ha fortemente sostenuto che Balto – pur nel suo nobile atto – non sia stato il vero protagonista di quella drammatica staffetta di musher svoltasi oltre quaranta gradi sotto lo zero. A detta di molti, infatti, la salvezza di Nome spetterebbe al musher Leonhard Seppala e al suo anziano cane Togo: sono loro, secondo molte testimonianze, ad aver percorso la tratta più lunga e ardua in quella faticosa staffetta per la salvezza. Seppala e Togo, dunque, responsabili del trasporto dell’antitossina fino alla penultima tappa dove, costretti a mollare a causa delle rispettive condizioni di vita, hanno dovuto necessariamente “passare il testimone” alla slitta trainata appunto da Balto e che, di conseguenza, avrebbe raccolto poi tutto il merito.

Stando a questa drammatica e insolita storia di salvezza, conosciuta anche come Corsa del Siero, possiamo capire come non sempre la Storia riesce a celebrare i veri eroi. Nulla da togliere a Balto, ci mancherebbe, ma nella speranza di consegnare “la verità” alle masse è arrivato nel 2019 l’altrettanto bellissimo Togo – Una grande amicizia, spettacolare dramma d’avventura prodotto dalla Disney per essere fruito sulla sua piattaforma Disney + e nato proprio con l’intento di raccontare la tragedia di Nome sposando proprio il punto di vista di Leonhard Seppala e del suo eroico Togo.

È proprio a quest’ultimo che sembra guardare Balto e Togo – La leggenda, terza trasposizione di questa Corsa del Siero che arriva adesso nelle nostre sale grazie a Notorius Pictures che riprende la sua regolare attività di distribuzione cinematografica dopo il delicato e drammatico lockdown da coronavirus che – ironia della sorte – ricorda tanto i fatti accaduti a Nome, in Alaska.

Quello che è doveroso precisare subito, nella speranza di prevenire o contenere la delusione di molti futuri spettatori, è che Balto e Togo – La leggenda non è un film che racconta l’avventura dei due amabili cani da slitta. Assolutamente no. Non lasciatevi ingannare dal titolo italiano (quello originale è un più onesto The Great Alaskan Race) o dalla locandina de film, perché Balto e Togo – La leggenda è un piccolo dramma che racconta l’avventura solo dal punto di vista del musher, Leonhard Seppala, relegando i due impavidi eroi a quattro zampe solo ad un paio di inquadrature (Balto, ad esempio, viene appena nominato) e dunque ad un ruolo del tutto marginale.

Una mossa sicuramente poco corretta da parte della distribuzione italiana (non vogliamo immaginare la faccia dei bambini, quando si recheranno in sala speranzosi di vedere un’avventura “a quattro zampe”) che spaccia il film per quello che non è, nascondendo la vera natura dell’opera: un dramma ambientato per lo più nelle corsie dell’ospedale, in cui il musher è tanto protagonista quanto il dottore che ha diagnosticato la difterite e in cui non c’è mai la possibilità produttiva di raccontare per immagini la staffetta tra i ghiacci.

Scritto, diretto e interpretato dal texano Brian Presley, più noto come attore e produttore e qui alla sua opera prima, Balto e Togo – La leggenda è comunque un film che proprio non riesce a funzionare, a prescindere dalle aspettative più o meno fuorvianti.

E di questo ce ne dispiaciamo molto, considerato il delicato e tenero evento storico narrato.

Potendo fare affidamento su un budget decisamente contenuto (soprattutto se paragonato a quello dei due film citati in apertura), il film di Presley decide di sacrificare completamente l’avventura a favore del dramma da camera, concentrandosi in modo particolare sulle preoccupazioni crescenti del dottore e della sua infermiera nel mentre che i musher percorrono le faticose 91 miglia.

Potremmo dunque considerare Balto e Togo – La leggenda un film complementare ai già citati Balto e Togo: ecco cosa accadeva in ospedale mentre i cani degli altri due film vivevano l’avventura.

Una scelta narrativa che avremmo potuto considerare anche nobile, oltre che furba produttivamente parlando, ma che tuttavia cade vittima di una narrazione lenta e a tratti estenuante, per nulla interessante e soprattutto schiacciata da un look pesantemente televisivo.

Brian Presley, evidentemente colto da manie narcisistiche, si autodirige nel ruolo chiave di Seppala e si pone al centro di un film che sbaglia continuamente i tempi narrativi (i primi 20 minuti sembrano uno spot), che riesce a rendere confusionaria una storia tutto sommato semplice e che inciampa persino in un goffo utilizzo della colonna sonora, invasiva e onnipresente nei novanta minuti di durata.

Troppe ingenuità narrative, troppi limiti tecnici e un ego smisurato che fanno credere a Presley di poter fare meglio (o semplicemente competere) rispetto a quanto fatto dalla Ambilmation prima e dalla Disney poi.

Giuliano Giacomelli

 

PRO CONTRO
L’epica avventura dei musher e dei loro cani durante la “Corsa del Siero”: sempre una storia emozionante e dal grande appeal cinematografico. Dove sono Balto e Togo?

Un racconto narrato con presunzione e scarsa dimestichezza della macchina cinematografica.

Un film dal look fastidiosamente televisivo.

Un uso pasticciato della colonna sonora.

 

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