Belle e Sebastien – Next Generation

Sebastien è un bambino di dieci anni che vive insieme a sua madre nel cuore di una grande città francese. Come molti suoi coetanei Sebastien è un bambino irrequieto e un giorno, per difendere una sua amica da alcuni bulli, finisce per mettersi nei guai con la polizia. Al piccolo serve necessariamente una lezione per mettere la testa a posto ma sua madre, prossima alla partenza per Praga, non sa come gestire la cosa. L’unica soluzione è mandare il piccolo a trascorrere le vacanze estive in montagna, nella piccola baita dove vive la giovane zia e la burbera nonna. Le giornate si prospettano subito estenuanti per Sebastien, decisamente schiavo dei ritmi cittadini e poco predisposto alla vita di campagna. Tutto cambia quando il piccolo incontra Belle, un grande cane bianco che è stato catturato da Gas e adesso si trova rinchiuso in una piccola gabbia. Amico e collega della zia di Sebastien, Gas è il figlio di un imprenditore locale senza scrupoli che è determinato a lucrare sul turismo imbiancando quelle splendide montagne con la neve artificiale. Sebastien, incapace di domare il suo spirito ribelle, fa fuggire Belle dalla gabbia e prova in tutti i modi ad ostacolare i piani imprenditoriali di Gas e suo padre.

Chi non conosce Belle e Sebastien?

Era il 2014 e con la stessa identica domanda retorica aprivamo la recensione del bellissimo Belle & Sebastien diretto da Nicolas Vanier. In quell’anno, infatti, la rinomata casa di produzione francese Gaumont ebbe la magnifica intuizione di rispolverare i romanzi di Cècile Aubry per riportare sul grande schermo qualcosa che mancava da troppo tempo: sia un grande film di formazione per ragazzi che, al tempo stesso, un grandissimo film d’avventura per famiglie capace di parlare ad un pubblico giovane e meno giovane.

Un’intuizione, quella della Gaumont, indubbiamente vincente dal momento che il Belle & Sebastien di Nicolas Vanier si è rivelato un successo incredibile, sia di critica che di botteghino. Un successo motivato dall’indiscutibile bontà del prodotto ma anche dall’enorme notorietà degli omonimi romanzi della Aubry che, ricordiamo, in passato avevano già ispirato una fortunata serie televisiva (nel 1965) e – soprattutto – l’iconica serie animata giapponese prodotta negli anni ’80 dalla MK Company.

Oltre ad aprire inevitabilmente il mercato francese ad un intero genere (quello naturalistico, con focus specifico sull’amicizia tra ragazzi e animali), il film di Nicolas Vanier ha dato vita ad una vera e propria saga di formazione che è continuata nel 2015 con l’altrettanto riuscito Belle & Sebastien – L’avventura continua, diretto da Christian Duguay, e si è conclusa nel 2018 con il poco entusiasmante Belle & Sebastien – Amici per sempre diretto questa volta dall’attore Clovis Cornillac.

Una trilogia di formazione che, seppur con qualche alto e basso al suo interno, è riuscita a mantenere intatta una certa coerenza narrativa così da portare davvero lo spettatore ad affezionarsi alla storia del piccolo Sebastien (interpretato in tutti e tre i film dal convincente Félix Bossuet) e la sua amicizia con Belle. Tre film utili a raccontare il profondo legame tra un bambino e il suo cane ma, al tempo stesso, anche tre film capaci di raccontare la crescita di Sebastien, sempre più desideroso di conoscere le sue origini tra una madre morta di parto e un padre sconosciuto e disperso chissà dove.

Una trilogia che sembrava aver detto ormai tutto (infatti!), ma si sa come funziona l’industria del cinema e quindi non si può certo lasciar spegnere un brand come quello di “Belle & Sebastien”! Gaumont decide così di riportarci sulle Alpi e lo fa, questa volta, mettendo un punto a tutto quello che è stato narrato in precedenza e ricominciando perciò da zero.

Belle & Sebastien – Next Generation non è e non vuole essere un remake del film di Nicolas Vanier così come, al tempo stesso, non vuole nemmeno essere una fedele trasposizione dei romanzi di Cècile Aubry.

Quello che la Gaumont porta sul mercato oggi, affidando la regia nelle mani di Pierre Coré, è piuttosto una sorta di bizzarro reboot che si prefigge lo scopo di adattare il concept dei romanzi della Aubry ai giorni nostri. Un piccolo cambiamento che, nel caso di una storia come quella di “Belle & Sebastien”, diventa uno stravolgimento gigantesco che porta la storia stessa a perdere di mordente e fascino.

Dunque, Sebastien non è più un orfanello che vive sulle Alpi insieme al nonno adottivo; non è più quel bambino cresciuto troppo in fretta, desideroso di conoscere l’identità dei suoi genitori e che si trova indirettamente coinvolto nella Seconda Guerra Mondiale facilitando la fuga degli ebrei in Svizzera durante l’occupazione tedesca. No, il Sebastien che ci racconta Pierre Coré non è nulla di tutto questo. Il Sebastien di oggi, interpretato da un piuttosto antipatico Robinson Mensah-Rouanet, è un bambino di città che ha una madre e che ripudia la vita in montagna. È uno stereotipato bambino moderno assuefatto ai ritmi urbani e che fatica a vedere la sua quotidianità lontano dal caos, dagli smartphone, dai social network e da internet.

Quella di attualizzare la vicenda di “Belle & Sebastien” è indubbiamente una scelta mirata a rendere più esplicito il dialogo con i ragazzini di oggi e i loro genitori, ma rimane comunque una scelta maldestra e infelice poiché non fa altro che neutralizzare le potenzialità del racconto avvicinandolo troppo ai tanti film “cloni” che sono nati proprio sulla scia del successo del film di Nicolas Vanier (pensiamo a Poly, tratto sempre dai racconti di Cécile Aubry, ma anche a Mia e il leone bianco, Il lupo e il leone o i meno noti Vicky e il suo cucciolo e King – Un cucciolo da salvare).

Ma a rendere poco convincente e coinvolgente Belle & Sebastien – Next Generation non ci pensa solo l’infelice scelta di rendere tutto così noiosamente moderno, è proprio la sceneggiatura del film a non funzionare come dovrebbe. Oltre alla sciocca volontà di dare all’opera una dimensione quasi metacinematografica in cui si contempla l’esistenza della trilogia avviata da Nicolas Vanier (qui Gas ha chiamato il cane Belle proprio lasciandosi ispirare da “quel famoso film”…ma allora anche la madre di Sebastien si è lasciata ispirare dal film del 2014?), Belle & Sebastien – Next Generation si caratterizza per una sceneggiatura assolutamente pigra che fatica ad entrare nel vivo della vicenda e, quando lo fa, si perde in una serie di soluzioni banali che davvero hanno del disarmante. Tutto è tagliato con l’accetta, i personaggi sono bidimensionali, i cattivi fanno i cattivi e i buoni non hanno alcuna sfumatura psicologica.

Pierre Coré insegue un messaggio di denuncia ambientalista, mettendo al centro del racconto un malvagio imprenditore che pur di arricchirsi vuole danneggiare flora e fauna locale, ma la sua è una denuncia così elementare da non trovare forza nemmeno dagli splendidi paesaggi naturali che ospitano la vicenda. Se nella trilogia precedente (soprattutto nei primi due film) la Montagna era uno dei protagonisti del racconto, in Belle & Sebastien – Next Generation non si riesce a valorizzare la Natura allo stesso modo: la montagna è solo una sterile ambientazione e, come tale, deve rimanere sullo sfondo.

Funziona meno anche il rapporto d’amicizia tra Sebastien e Belle, troppo freddo e altalenante, e destinato ad andare incontro ad un epilogo che sembra voler citare, in modo decisamente gratuito e poco credibile, il finale de Il richiamo della foresta, capolavoro senza tempo scritto da Jack London.

Insomma, Belle & Sebastien – Next Generation è un reboot indubbiamente pasticciato e di cui proprio non si sentiva il bisogno. Se perciò avete voglia di tornare ad immergervi in quelle atmosfere naturalistiche e avventurose immaginate e scritte da Cècile Aubry, il consiglio è quello di ripassare la trilogia avviata nel 2014 e conclusa nel 2018.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • Tornare a respirare le avventure montanare di “Belle & Sebastien” è un pro a prescindere.
  • Seppur poco valorizzate, le location naturali sono sempre una gioia per gli occhi.
  • L’idea di voler ambientare il racconto ai giorni nostri.
  • Una sceneggiatura pigra e a tratti stupida.
  • Robinson Mensah-Rouanet è un Sebastien antipatico.
  • Il finale che strizza l’occhio all’opera di London, assolutamente fuori mood.
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