Biografilm 2017: Una Mujer Fantàstica, la recensione
Marina è una donna fantastica, un’entità che ancora per molti non esiste realmente (o meglio, non dovrebbe esistere). Marina è una giovane donna trans che vive a Santiago del Cile insieme a Orlando, un uomo fatto e finito che va per i 60, di vent’anni più vecchio di lei. Un aneurisma fulminante li separa improvvisamente lasciando Marina sola nella scomoda situazione di non avere alcun vincolo legale con il suo defunto compagno di vita.
Una Mujer Fantàstica, nuovo film del cileno Sebastiàn Lelio, premiato con l’Orso d’Argento per la migliore sceneggiatura all’ultimo festival di Berlino, affronta il tema della transessualità con una celata ironia di fondo nei confronti dell’insensata ignoranza che troppo spesso predomina sull’argomento, madre di pregiudizi e comportamenti al limite dell’umanità.
Una creatura sbagliata, che non dovrebbe esistere in natura. Una chimera, un essere mitologico che non riescono a comprendere. Questo è Marina per la maggior parte dei parenti di Orlando. Un’entità fantastica, irreale, la cui assurda esistenza è essa stessa giustificazione per qualsiasi giudizio negativo nei suoi confronti. Un gioco di parole, atmosfere e allusioni verso il fantastico con cui il regista provoca e deride in maniera celata un modo di pensare tutt’altro che inconsueto.
Ma a Marina la sola cosa che importa è che poche ore prima Orlando era lì con lei, cenavano insieme, ridevano, facevano l’amore. Ora, all’improvviso, di lui rimane solo un’inutile mazzo di chiavi e qualche fugace apparizione spettrale che la accompagna.
Una pellicola che ci guida con diversi toni di colore attraverso lo stato d’animo di Marina, in una simbiosi tra protagonista e forma del racconto che si realizza soprattutto nel ritmo, senza mai picchi o frenate brusche ma sempre continuo, lineare e perentorio.
Matteo Pioppi
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