Bling Ring, la recensione

Mark si è appena trasferito con la sua famiglia a Los Angeles e, come ogni adolescente, trova qualche difficoltà ad integrarsi tra i suoi coetanei. A scuola però Mark conosce Rebecca e scopre di avere in comune con lei uno spiccato interesse per la moda e per tutto ciò che fa tendenza, a cominciare dalle star del mondo dello spettacolo. Rebecca però ha un’idea mirata a soddisfare in maniera estrema la loro ossessione per le star: intrufolarsi nelle case delle celebrità quando loro non ci sono e rubare i loro abiti e oggetti. Mark cerca su google l’indirizzo e notizie relative a feste e set su cui le star sono occupate, in modo di avere la sicurezza di non trovare nessuno in casa, e Rebecca mette su una vera e propria gang di altre sue coetanee per mettere a segno i loro colpi.

Reduce dal Leone d’oro a Venezia nel 2010 per Somewhere, la figlia d’arte Sofia Coppola prende stavolta spunto da un articolo comparso su Vanity Fair intitolato The Suspects Wore Louboutins, in cui la giornalista Nancy Jo Sales documentava la vera storia di una gang di adolescenti che hanno “terrorizzato” la vita di alcune celebrità sulle colline di Los Angeles. Praticamente il piatto era già servito, una storia tanto assurda da essere reale, il materiale più indicato per diventare fiction cinematografica.

Un soggetto piuttosto interessante dà però vita a un film che non convince in pieno. Lo stile della Coppola è ormai largamente riconoscibile e, seppure non particolarmente nelle corde di chi scrive, è comunque apprezzabile quel suo tocco autoriale, diventato una chiara firma. Con Bling Ring la Coppola si abbandona a riflessioni abbastanza distaccate, anche se tendenti al critico, su una generazione che non solo ha smarrito i “buoni” valori tradizionali, ma si è ormai fondata su altri discutibili miti. È la generazione dell’apparire, quella in cui l’immagine conta molto di più della sostanza, la generazione dei social network e del “tutto e subito”. Si nota che questa gioventù odierna non piace all’autrice di Lost in Traslation, che è lontanissima dal suo modo di vedere e di pensare, ma la regista preferisce non giudicare nel suo lungometraggio e mette in scena i fatti si romanzati, ma portandoli sullo schermo con un fare quasi documentaristico, libero da ogni peso morale soggettivo. E forse è proprio questo il maggior limite di Bling Ring.

La Coppola realizza un film freddo, troppo distaccato, incapace di coinvolgere lo spettatore nelle vicende di questi ragazzi viziati e antipatici che pensano e agiscono con un’incoscienza quasi surreale. Noi seguiamo la vicenda attraverso gli occhi di Mark, interpretato da Israel Broussard, sedicenne gay, complessato e in continua ricerca dell’approvazione altrui. Non è un personaggio dal particolare appeal, così come non lo sono gran parte delle sue coetanee e colleghe di scorribande, tra le quali si contraddistingue soprattutto Nicki, interpretata dalla harrypotteriana Emma Watson, l’unica della gang che sembra bearsi e trarre vantaggio dalla situazione delittuosa. Personaggi – forse volutamente – troppo simili tra loro, tutti caratterizzati con un unico stampino e inseriti in un contesto famigliare in cui le figure genitoriali sono assenti o intente a dare un’educazione ‘cool’ e al passo coi tempi che paradossalmente è quanto di più lontano possa esserci da una vera educazione, surrogato di una voglia di protagonismo sopita (e il personaggio interpretato da Leslie Mann ne è il chiaro esempio).

La gang di Bling Ring al completo

La gang di Bling Ring al completo

Bling Ring dura 90 minuti, ma i primi 75 sono praticamente la stessa situazione ripetuta per più e più volte, mostrandoci le azioni notturne di questi ragazzi che si infiltrano con fin troppa facilità nelle abitazioni di Paris Hilton, Megan Fox, Lindsay Lohan e compagnia bella, sguazzando avidamente nei loro capienti armadi e beandosi in discoteche private e camere da letto di lusso. Lo squilibrio strutturale del film relega solamente all’ultimo quarto d’ora le conseguenze di queste effrazioni e furti, con processo e ciò che ne segue troppo breve, pur essendo probabilmente la parte più interessante della vicenda.

Bling Ring giunge così a conclusione, una vicenda vera curiosa e interessante, nonché cinematografica come poche, sminuita da scelte narrative che puntano alla ripetitività e a un distacco autoriale che pone quasi un muro tra lo spettatore e ciò che scorre sullo schermo. Il film non è particolarmente riuscito e la mente va a un altro figlio d’arte, Brandon Cronenberg, che è riuscito con Antiviral ad esprimere la medesima tematica dell’ossessione per le celebrità in maniera ben più complessa e paradigmatica. Ma alla fine si esce dal cinema pensando comunque a quanto possano essere assurdamente “contagiosi” alcuni stili di vita e fino a che punto le persone possano spingersi per emulare i propri miti, diventare come loro, indossare quello che indossano loro letteralmente… oltre che domandandosi se questa sera Francesco Totti e Ilary Blasi hanno lasciato la casa incustodita!

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Soggetto accattivante.
  • Alcuni attori sono particolarmente credibili.
  • Narrazione ripetitiva e ripartizione degli eventi squilibrata.
  • In alcuni punti è poco credibile.
  • Il punto di vista dell’autrice è eccessivamente distaccato.
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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Bling Ring, la recensione, 5.0 out of 10 based on 1 rating

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