Bota Café, la recensione

Opera a quattro mani presentata in giro per il mondo a diversi Festival, Bota Café arriva da un paese di cui in Italia non escono molti film: l’Albania; sebbene si tratti di una produzione tripartita tra Italia, Francia e Albania. È un film che riflette sul passato della terra in cui si ambienta, mostrandoci il presente per esaminane le ripercussioni dirette.

Il Bota Café si trova in un insolito spazio isolato nel bel mezzo del territorio albanese. Qui si intrecciano piccole storie semplici e ordinarie, di cui sono protagonisti soggetti presi a confrontarsi con grandi cambiamenti, non ultima la costruzione di un’autostrada. Amori tormentati, sogni fermati dal dovere e speranze immortali sono alla base di queste storie. Personaggi ordinari ma dal carattere forte, definiti in relazione all’ambiente in cui si svolge l’azione. Il contesto che emerge è quello di una piccola comunità di perseguitati con le loro piccole vite in un posto dimenticato.

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Bota Café è la storia di un villaggio formato da ex esiliati del regime di Henver Hoxa. Il Bota Café è un piccolo mondo a parte. E, guarda caso, “bota” in albanese significa proprio “mondo”. Il film è, a tutti gli effetti un’opera prima che porta la firma di Iris Elezi, con alle spalle esperienze di cortometraggi, e Thomas Logoreci, regista americano di origini albanese. Tuttavia, per quanto sia un film piccolo, non presenta particolari difetti di fabbrica, se non un’idea forse già troppo sperimentata. Bota Café è comunque un film necessario per lo spaccato che offre, che è di fatto la fotografia di una nazione.

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In questo film si alternano momenti statici e momenti dinamici, inframezzati da dialoghi credibili e curati. Nello stile è un film fortemente “dell’Est”, sebbene talvolta un po’ più televisivo che cinematografico, con momenti vagamente documentaristici e con dinamiche che richiamano No Man’s Land, la celebre opera prima del bosniaco Denis Tanovic, Oscar al miglior film straniero nel 2002, mentre alcune situazioni ricordano un piccolo gioiellino tedesco di qualche anno fa: Almanya – La mia famiglia va in Germania. I due registi sanno comunque piacere, hanno una regia furba: in momenti statici, irrompono con improvvisi slanci di regia che non lasciano certo indifferenti.

Nei cinema dal 25 giugno distribuito da Luce Cinecittà.

Claudio Rugiero

PRO CONTRO
  • Dialoghi e personaggi credibili
  • Azione semplice e veloce
  • Idea già troppo sperimentata
  • Inizio un po’ statico
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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