Calvario, la recensione

Mentre Padre James Lavelle ascolta le confessioni dei suoi seguaci, riceve la visita di un misterioso individuo, il quale gli comunica che dopo 7 giorni lo ucciderà.
Con una settimana di tempo prima dell’incontro col potenziale omicida, Padre Lavelle decide di risolvere ogni problema morale e religioso all’interno della sua comunità, tentando, nel frattempo, di impedire il suo futuro assassinio.

Dopo un ottimo inizio di carriera con The Guard (Da noi orrendamente titolato Un Poliziotto Da Happy Hour) John Michael McDonagh, fratello del Martin McDonagh di In Bruges – La Coscienza Dell’Assassino e 7 Psicopatici, ripropone una nuova gemma del cinema irlandese moderno con Calvary, un dramma a tinte religiose con una punta di mistero. Con un’incipit alla whodunit (O meglio who’s-gonna-dunit) il film è una riflessione contemporanea sui temi più scottanti della religione in tempi moderni.
Il Padre Lavelle della pellicola, interpretato da un sempre fantastico Brendan Gleeson, è un personaggio a tutto tondo, un vedovo dal passato indefinito colmo di principi e saggezza sulla retta via, che scopre l’assenza di onestà e amore all’interno della sua comunità; un’indagine generata dalla paura di una Morte, non fisica, ma perlopiù generatrice di un vuoto spirituale all’interno di una comunità sempre più alla deriva.
Gli abitanti del villaggio senzanome sono una manica di peccatori dalle perversioni e le religioni più variegate, in una ricostruzione dei gironi dell’inferno che lascia più che sorpresi in vista dell’enorme sfilza di comprimari che McDonagh riesce a inserire nella struttura, e con essi il Prete decide di scontrarsi per ristabilire l’ordine di una volontà universale e pacificatrice.
C’è la moglie adultera che se la fa col meccanico sudamericano; il marito con le scappatelle, il maschio ignorato che vorrebbe arruolarsi giusto per sentire cosa si prova a terminare una vita, il ricco annoiato, il barista buddista e la figlia Fiona, aspirante suicida dalla morte della madre.

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Dopo una prima metà, decisamente più improntata sul genere di commedia dark, Calvary compie una straordinaria svolta verso il dramma umano e religioso con una semplicità raramente individuabile altrove; questa è la storia eterna dell’Uomo che, per arrivare alla conclusione, deve prima sciogliere ogni Dubbio Etereo o Materiale davanti al Nulla Assoluto e all’impossibilità di poter scrutare l’universo in cerca di risposte finali. Il Lutto, il Martirio, il Paradiso, la Vecchiaia, l’Amore.
Come aiutare gli Incerti se nessuno riesce a rispondere alle nostre domande?
Tramite una serie di dialoghi ben congegnati e sequenze sull’orlo del commento metaforico, Calvary ricerca e domanda ogni singolo quesito su un Dio dell’Età Moderna che comincia a vacillare davanti a una società sempre più vittima di una razionalizzazione spietata e forzata, nonché povera di valori.
I personaggi irrompono per caso, per coincidenza, per bisogno, e l’impressione di trovarci davanti a uno spettacolo teatrale mancato sarebbe costante, se non fosse per la bellezza fotografica con cui vengono presentati gli scorci e le espressioni che animano questo paesaggio irlandese dannato, assieme a una maestosa qualità della sceneggiatura che fa pensare alle migliori produzioni teatrali, dove tematiche e costruzioni sono le prime a recitare sul palco.

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Con un’ironia autoreferenziale spropositata (“Ottima frase di apertura”, “Grandiosa rivelazione da Terzo Atto”, “Che personaggio credi potrei essere? Il Dottore Ateo o il Prete Buono?”) e una lucidità mai troppo autoindulgente, la seconda parte termina in un climax sbloccabile solo dopo le lezioni apprese durante la durata trascorsa. Il sentimento di chiusura e comprensione raggiunge attimi da divulgazione universale; dialoghi che riferiscono concetti, che riportano impressioni, che giustificano le domande. Un processo di inquisizione su ciò che il razionale apprende nell’irrazionale; o quanto meno, nell’immateriale.
E per essere una pellicola che istiga al Dubbio e alla sua Sconfitta per mano umana, Calvary è anche una pellicola di una bellezza spirituale magnifica, trascendendo le dottrine e scovando il “perché” degli umani che le professano e le stabiliscono come regole di vita.
Gli uomini buoni, le loro inflessioni psicologiche, il confine tra lo psicopatico moderno e il posseduto del passato, le anime perdute e quelle intrappolate nei propri ruoli o nei desideri fuori controllo della propria sessualità.
Bastano pochi attimi, qualche battuta, un pensiero correttamente espresso, una parabola metaforica nel punto giusto; ecco un nuovo dilemma, ecco un nuovo nodo da sbrogliare.
Con la violenza di un proiettile e l’eleganza incessante di onde che si adagiano sulla sabbia, Calvary è un immancabile biglietto di sola andata verso una terra sconosciuta e affascinante.
Un biglietto macabro, ironico e armoniosamente colmo di passione.

 Luca Malini

PRO CONTRO
  • Una grandissima prova di recitazione di Brendan Gleeson.
  • Sceneggiatura magnifica e colma di significati.
  • Una straordinaria riflessione sulla Religione in tempi moderni.
  • Potrebbe annoiare chi si aspetta una pellicola prevalentemente grottesca.
  • Alcuni dei temi sollevati possono risultare scottanti o eccessivamente intricati ai fini della narrazione.
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Valutazione: 9.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Valutazione: +1 (da 1 voto)
Calvario, la recensione, 9.0 out of 10 based on 1 rating

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