A casa nostra, la recensione

È una necessità stringente, un bisogno definito a livello fisico quello che muove Lucas Belvaux e gli fa girare A Casa Nostra. Urgente, immediato, radicato nella contemporaneità in maniera quasi scandalosa, il racconto declina le sue riflessioni, tante complesse e dannatamente scomode, servendosi di un tempo ben preciso, e questo tempo non può che essere quello presente.

Il film rientra nella tradizione del cosiddetto cinema d’impegno, o cinema a vocazione sociale. Per maggior chiarezza e precisione, cinema politico. Certo l’etichetta ha i suoi limiti (un mezzo espressivo che parla delle persone e alle persone può essere non politico?) ma anche i suoi vantaggi, e vale la pena di usarla perché serve adeguatamente lo scopo di una semplificazione introduttiva.

La forza di A Casa Nostra è di scostarsi dal modello quel tanto che basta per sottolinearne una prospettiva inedita: meno spazio alle strutture e alle sovrastrutture, un margine guadagnato all’analisi delle dinamiche e delle psicologie individuali. La sinossi del film ci aiuterà a chiarire la situazione.

Pauline Duhrez, un’intensa Emilie Dequenne, è infermiera in un distretto minerario nel Nord della Francia, madre single con due figli e un padre, metalmeccanico d’ispirazione comunista, a carico. Empatica e coscienziosa sul lavoro, viene “reclutata” da un suo superiore, uno straordinario André Dussollier, sinistro e devoto, come candidato sindaco nel comune di riferimento tra le fila del Blocco, famigerata formazione di estrema destra in piena ascesa elettorale e desiderosa di un restyling, superficiale non di contenuti è chiaro, propedeutico al definitivo sdoganamento. Pauline prima nicchia poi, lusingata dalle attenzioni di un movimento del quale non abbraccia del tutto le idee, sceglie di stare al gioco nella speranza di dare voce alla periferia dimenticata e diventa la bella statuina, il guscio vuoto, del Blocco. Un volto fresco muto e nuovo su cui trapiantare la (vecchia) filosofia del partito, la cui leadership è saldamente nelle mani di un’algida Catherine Jacob, ottima nel tratteggiare questa sorta di santino elettorale in movimento, dura e glaciale quanto basta e che nell’ordine 1) dirige un movimento ereditato dal padre  2) cerca di smarcarsi dall’ingombrante retaggio del passato e di presentare le sue idee sotto una veste più accattivante 3) è bionda 4) si candida alle presidenziali 5) è morbosamente ossessionata dall’Islam.

Chiaramente una costruzione di fantasia. La scelta di Pauline non è senza conseguenze, dentro e fuori la famiglia. Tuttavia, i veri problemi sorgeranno a causa della sua relazione con Stéphane, Guillame Gouix, una vecchia conoscenza del Blocco dalle pericolosissime posizioni.

È un gioco d’immagini, costruite e modellate fino allo sfinimento quello portato in scena da ciascun personaggio per semplificare la realtà e trarre vantaggio delle tensioni che l’agitano ed arrivare a dama dei propri scopi. L’ascesa dei moderni movimenti populisti o di ultra-destra, la seduzione di un’idea inquietante è resa con efficacia da Lucas Belvaux, che sceneggia in coppia con Jerome Leroy, autore del romanzo Le Bloc da cui origina il film.

A Casa Nostra combina il rigore stilistico e formale alla complessa profondità dei motivi e delle idee. La messa in scena non si giova di inutili orpelli, lo sfondo, questa Francia settentrionale grigio-verde-azzurra partecipa del disegno complessivo in maniera sostanziale; è un personaggio in sé stesso. Un mondo a metà strada fra la campagna e la città, sulla cui pelle la Storia ha inciso molte delle sue ferite, se pensiamo agli ordigni bellici costantemente recuperati dai campi. Gli uomini e donne che lo popolano sprofondano nel disagio della recessione, della liquefazione dei significati socioculturali tradizionali, incapaci di confrontarsi con qualsiasi parvenza di diversità perché sprovvisti degli strumenti idonei, e cedono. Cedono al rancore, al risentimento, al fascino facile dei facili slogan, e si trincerano dietro il respiro di un afflato nazionalista che è molto vecchio e molto giovane al tempo stesso.

Il film di Belvaux è parziale ma non partigiano, tira le fila politiche analizzando le dinamiche emotive interiori, non nasconde le sue simpatie ed antipatie ma non impone allo spettatore una visione preconfezionata. Funziona meglio nella prima parte, quando svela gli ingranaggi di questa tentacolare macchina ideologica di reclutamento e indottrinamento, cede un po’ sul finale quasi thriller. Sceglie di accostarsi alla periferia e non distoglierne mai lo sguardo, a tratti impietoso, eppure non privo di empatia.

Si è parlato di film politico, A Casa Nostra indubbiamente risponde ai requisiti. Ma la lucidità del suo sguardo, la sua sintonia con alcune delle tendenze più tipiche del mondo di oggi, non solo in Francia, ne fanno un apripista, un campanello d’allarme, quasi un film dell’orrore.

Francesco Costantini

PRO CONTRO
  • Parla del mondo di oggi, senza timidezze.
  • Il buon cast.
  • Mi ripeto, un po’ sbilanciato. La prima parte è più godibile.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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