Archivio categorie: In sala

L’ultima luna di settembre, la recensione

Ormai molti anni fa, Tulgaa ha abbandonato le campagne della Mongolia per andare a vivere in città, alla ricerca di un futuro più concreto e agiato. Ma quello che ha trovato, tuttavia, è una dimensione grigia e un rapporto di coppia che non ha preso la piega sperata. Quando riceve una telefonata che lo avverte che il patrigno sta per morire, Tulgaa non può fare altro che tornare nelle steppe della Mongolia per accudire l’anziano negli ultimi giorni della sua vita.

Alla morte dell’uomo, consumati i funerali, Tulgaa decide di esaudire l’ultimo desiderio del patrigno: rimarrà nella iurta paterna fino al calare dell’ultima luna piena di settembre per terminare il lavoro di fienagione nei campi.

Per Tulgaa inizia così un lungo periodo di riconciliazione con la Natura, un periodo in cui deve necessariamente riabituarsi ai ritmi della campagna, alla solitudine e ai disagi offerti dal mondo naturale e incontaminato. Durante le sue lunghe giornate spese ad arare i campi, Tulgaa conosce Tuntuulei, un bambino di dieci anni che vive con i nonni e che lavora anche lui nei campi. Dopo alcuni piccoli attriti di partenza, i due imparano a conoscersi e ad affezionarsi l’un l’altro: Tulgaa proverà emozioni nuove, divenendo una vera e propria figura genitoriale nei confronti del piccolo, mentre Tuntuulei identificherà nell’uomo quella figura paterna che non ha mai avuto.

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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Manodopera, la recensione

Nel Piemonte di inizio ‘900, la speranza di una vita migliore spinse molti abitanti delle valli a trasferirsi oltre il Monviso per cercare lavoro. Questa la storia di Luigi e sua moglie Cesira, decisi a varcare le Alpi e arrivare fino in Francia. Una testimonianza familiare che prende vita grazie alla clay animation in un incredibile racconto di emigrazione e frontalieri.

Il regista Alain Ughetto, nipote del protagonista Luigi Ughetto, voce narrante e mano esecutrice delle animazioni, è il protagonista diretto di questo film animato. In una conversazione con un pupazzetto animato di sua nonna, Alain ripercorre tutta la vita di suo nonno fino alla sua morte. La clay animation prende così una vita ancora più sincera ed emotiva.

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Valutazione: 9.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Assassinio a Venezia, la recensione

Sono passati dieci anni dai fatti raccontati in Assassinio sul Nilo ed Hercule Poirot (Kenneth Branagh) ha lasciato la professione di detective e si è trasferito a Venezia. Assediato da proposte di casi da risolvere, che sistematicamente declina, non riesce a sottrarsi all’invito della scrittrice e vecchia amica Ariadne Oliver (Tina Fey), a partecipare ad una festa organizzata per la notte di Halloween presso la residenza della cantante lirica Rowena Drake (Kelly Reilly).

Il Palazzo è tristemente noto per la sua macabra storia: un ex orfanotrofio dove si dice abbiano trovato la morte decine di bambini, a causa dell’incompetenza e disinteresse dei medici e delle infermiere. Da allora i loro fantasmi in cerca di vendetta infestano le sue stanze, tormentando i vivi e spingendoli al suicidio, come solo un anno prima era capitato alla giovane Alicia, amatissima figlia della Drake.

Il dolore è tale che Rowena decide di convocare alla festa Joyce Reynolds (Michelle Yeoh), famosissima medium, nel tentativo di richiamare e interrogare, attraverso una seduta spiritica, il fantasma della figlia. Ma le cose non vanno come sperato e il Palazzo mette a dura prova le menti di tutti, anche quella dell’infallibile Poirot.

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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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I Mercenari 4 – Expendables, la recensione

C’è stato un momento nel primo decennio degli anni 2000 in cui molti prodotti cinematografici dei 30 anni precedenti, che all’epoca furono bollati come trash o comunque di serie B, hanno guadagnato una vistosa rivalutazione. Tra horror splatter anni ’80 e gialli/polizieschi anni ’70, spesso e volentieri fatti conoscere alle nuove generazioni da oculate riscoperte da parte di Quentin Tarantino e dei suoi amici, c’è stata anche una piccola parentesi di nobilitazione dell’action muscolare degli anni ’80/’90, quello di Stallone e Schwarzenegger per intenderci, un nutrito filone di film già amatissimi dal pubblico di allora e di oggi ma che ha sempre subito lo snobismo da parte di una certa cricca dal palato fine. Sono stati gli stessi protagonisti di quel cinema a spingere sul pedale della nostalgia e Sylvester Stallone è stato senz’altro il più lungimirante e scaltro, da ottimo business man che è sempre stato.

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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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In the Fire, la recensione

in the fire

Pensate come avrebbero potuto reagire uno sparuto gruppo di bigotti in un villaggio colombiano di fine 800 al sospetto che le calamità che si stavano abbattendo su di loro potessero essere causate da un ragazzino “diabolico”. Ovviamente fiaccole e forconi sarebbero stati il minimo del loro armamentario del linciatore provetto. Ora pensate come avrebbero potuto reagire se a difendere quel bambino fosse stata una donna straniera che parla della superiorità della scienza in confronto alla religione. Apriti cielo! Scudisciate come se non ci fosse un domani a quella sciacquetta sacrilega!

Questo è il contesto all’interno del quale si sviluppa In the Fire, il nuovo film del texano Conor Allyn, già regista del western No Man’s Land (2021), che qui si appella al period-dramma con venature soprannaturali per parlare dell’annoso conflitto tra scienza e fede e, soprattutto, del maschilismo imperante tra i contadini della Colombia del 1890. Come se in un periodo e in un luogo come quello potesse essere possibile uno scenario differente.

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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Il mio amico Tempesta, la recensione

Una notte, mentre assiste nel travaglio la cavalla della scuderia di famiglia, la veterinaria incinta Marie partorisce nella stalla, contemporaneamente alla sua cavalla. Nascono Zoé e il cavallino Cospiratore e fin dai primi anni di età è chiaro che la bambina ha un’intesa particolare con gli animali della scuderia, pronta a proseguire la tradizione di famiglia nel mondo delle corse di cavalli. Ma una notte, mentre il papà di Zoé, un famoso fantino, e la mamma sono alle corse, la bambina è vittima di un terribile incidente e uno spaventato puledro di nome Tempesta le passa addosso causandole un danno irreversibile alla spina dorsale. Ora Zoé è paraplegica, i suoi genitori non riescono a perdonarsi il fatto di averla lasciata sola quella sera e la bambina sembra aver perso la voglia di vivere. Solo l’amore incondizionato per i suoi cavalli può darle nuova forza.

Ispirandosi al romanzo per ragazzi Tempete au haras (2012) di Christophe Donner, lo specialista in film per famiglie Christian Duguay realizza Il mio amico Tempesta, che rinnova il trend contemporaneo di certo cinema francofono nell’esplorare il rapporto che può crearsi tra un bambino e un animale.

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Valutazione: 5.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Doggy Style – Quei bravi randagi, la recensione

C’è tutto un filone di orribili film per famiglie in cui ci ritroviamo animaletti reali o, ancor peggio, neonati che parlano con voci umane adulte. Questo danno è stato causato dal grande successo di Senti chi parla (1989) di Amy Heckerling, bissato da ben due sequel, il secondo dei quali sostituiva i bambini ciarlieri con altrettanto logorroici cani. Da quel momento, il vaso di Pandora era stato scoperchiato ed è stato tutto un proliferare di inguardabili film con protagonisti cagnolini parlanti inseriti in contesti in cui si trovano a comportarsi come umani.

Se il buon 99% di questi prodotti è indirizzato a bambini, come è giusto che sia, c’è quella minima percentuale in cui il target si allarga -o si stringe, dipende dai punti di vista- andando a catturare l’attenzione anche o solamente di adulti. È accaduto con Un’occasione da Dio, in cui il “divino” Simon Pegg era in grado di sentire la voce del suo cagnolino (doppiato da Robin Williams) ed è accaduto in Voices, in cui il serial killer Ryan Reynolds parlava tranquillamente con i suoi animali domestici. Due prodotti godibili in cui, però, non erano gli amici a quattro zampe i protagonisti, ma solo delle spalle, degli aiutanti.

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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Il più bel secolo della mia vita, la recensione

In Italia esiste una legge molto particolare, una legge utile a tutelare il diritto di segretezza nei confronti di tutte quelle mamme che hanno deciso di non riconoscere il proprio figlio al momento della nascita. È la legge 184 del 1983 (poi aggiornata con la 149 del 2001), una legge ritenuta per lungo tempo anticostituzionale poiché andrebbe in conflitto con il diritto naturale di ogni essere umano a conoscere le proprie origini. Da questo “cortocircuito” legislativo, che affonda le proprie radici nell’etica e nella moralità, prende vita Il più bel secolo della mia vita, opera prima di Alessandro Bardani.

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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Venezia80. Io Capitano di Matteo Garrone, la recensione

Al suo undicesimo lungometraggio, Matteo Garrone si confronta con un tema sociale che da anni ormai solleva l’opinione pubblica mostrando, spesso e volentieri, il peggio degli esseri umani, un tema strumentalizzato dai media e dalla politica, ovvero quello dell’immigrazione clandestina. Ma Garrone, con Io capitano, ha la sensibilità di non affrontare questo tema da nessuna prospettiva politica, raccontando con estrema neutralità l’avventura di due adolescenti senegalesi nell’impresa di raggiungere l’Europa.

Noi siamo abituati a conoscere queste storie dai reportage, spesso tragici, dei TG, filtrati ovviamente dallo sguardo di chi riceve e spesso subisce come una piaga l’immigrazione clandestina. Garrone ribalta la prospettiva e ci mostra chi quel viaggio assurdo decide di intraprenderlo, con tutte le difficoltà del caso, gli ammonimenti e l’ingenuità di chi si aspetta la terra promessa e invece si trova a fare un percorso infernale.

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Valutazione: 9.0/10 (su un totale di 1 voto)
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The Nun II, la recensione

Con oltre 365 milioni di dollari incassati in tutto il mondo, ad oggi The Nun – La vocazione del male (2018) di Corin Hardy è il film di maggior successo dell’intero Conjuringverse. Quindi dare un proseguo al film stand-alone sul demone in abito religioso era una priorità per i produttori Peter Safran e James Wan, che affidano The Nun II a Michael Chaves, esperto con la saga perché già artefice del terzo Conjuring e dello spin-off La Llorona – Le lacrime del male.

Abbiamo fatto per la prima volta la conoscenza di Valak, il demone che esprime la sua blasfemia indossando l’abito di una suora, in The Conjuring – Il caso Enfield, dove rappresentava una minaccia per il buon Ed Warren e si faceva protagonista di una delle scene più terrorizzanti del film, quella del quadro. Ora che Valak è in grado di camminare sulle proprie gambe con una sua saga di successo, scopriamo che, come ogni demone, è un angelo caduto e la sua peculiarità è la ricerca di reliquie religiose che possono conferirgli un grande potere.

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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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