Cell, la recensione

L’80% della popolazione globale ha un telefono cellulare e lo usa regolarmente: un dato che potrebbe far riflettere sull’influenza che tale indispensabile mezzo ha sull’intera umanità. E se il telefono cellulare diventasse il veicolo di un’epidemia letale? Probabilmente la razza umana sarebbe “fottuta”. È quello che ha pensato Stephen King nel 2006, quando ha scritto Cell, non uno dei suoi romanzi più riusciti ma uno dei più profetici sull’uso massivo che quell’aggeggio tecnologico ha avuto sulla popolazione civilizzata.

Ora Cell è diventato un film, un travagliatissimo progetto che doveva prendere forma già all’indomani della pubblicazione del romanzo, quando la Dimension Film acquistò i diritti di sfruttamento cinematografico e affidò il progetto a Eli Roth. L’accordo non andò in porto per divergenze creative e Cell passò nella mani della Benaroya Pictures che, in co-produzione con la Cargo Entertainment, mise il progetto proprio nella mani di Stephen King, chiamato a scrivere la sceneggiatura insieme all’Adam Alleca del remake di L’ultima casa a sinistra. La produzione, ben più contenuta in confronto al progetto iniziale dei Weinstein, ha affidato la regia a Tod Williams di Paranormal Activity 2 e quello che ne è venuto fuori è un mezzo pasticcio che, incredibilmente, stravolge il romanzo, ne banalizza il messaggio e procede con il piede costantemente sull’acceleratore.

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Boston. Mentre il fumettista Clay Riddell si trova all’aeroporto pronto per tornare nella sua cittadina del Maine per riabbracciare la famiglia che non vede da diversi mesi, scoppia il caos. Le persone, colpite da un impulso trasmesso dai loro telefoni cellulari, impazziscono e scatenano gli istinti più violenti. Clay si unisce a un gruppo di sopravvissuti, tra cui c’è il macchinista di metropolitana Tom McCourt e la giovane Alice, mentre attorno a loro il mondo precipita nella follia.

Che King all’epoca del romanzo avesse poca simpatia per i telefoni cellulari non è di certo un mistero, ma il modo in cui ha applicato questa sua repulsione alla contemporaneità e al suo classico contesto da horror è stato il solito colpo di genio a cui il Re del Maine ci ha abituato negli anni. L’annichilimento dell’individuo attraverso il mezzo telefonico è diventato una realtà (senza falsi moralismi perché sappiamo quanto sia utile, anzi indispensabile, oggi uno smartphone), e la metafora veicolata da Cell è arrivata in maniera diretta e per nulla velata proprio in un’epoca che ben si presta a questa riflessione. Il problema è che il film diretto da Tod Williams ha ben poco di quella critica sociale che arriva dal soggetto e questo non sarebbe neanche un difetto, visto che Cell abbraccia fin dalla prima fulminante sequenza la serie B nella maniera più chiara e spudorata. Solo che il film non riesce a tenere il passo con la portata della storia e procede a un’auto-sottrazione di tematiche, riflessioni, suggestioni che ha del preoccupante, risultando un prodotto con poca personalità e completamente privo di fascino.

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L’incipit è stato spostato in un aeroporto, piuttosto che il bucolico paesaggio del parco di Boston, e l’intuizione di sostituire il contrasto natura-tecnologia con una più energica immersione nel terrore di un non-luogo oggi sinonimo di estrema sicurezza, è senz’altro una buona scelta. Il film va diritto al punto, ci immerge nell’azione forsennata con l’esplosione della follia collettiva che dà addito a scene ultra-gore che fanno ben presagire. Ma è un fuoco di paglia, il ritmo non tiene il passo e l’unica cosa che si nota è un (fin troppo) veloce ripercorrere le tappe del romanzo cambiando, di tanto in tanto, degli accandimenti, come il finale, che all’estrema apertura del romanzo sostituisce una chiusa che fa a pugni con la logica.

I personaggi abbozzati che si susseguono in un’avventura on the road non riescono neanche a suscitare quel trasporto emozionale che si richiede da una storia di sopravvivenza, dove – in teoria – ci dovrebbe interessare della sorte dei protagonisti. Ma così non è e il fumettista interpretato da John Cusack (anche produttore del film) appare monodimensionale e perfino poco coinvolto negli eventi famigliari che lo interessano in prima persona. Un po’ meglio il macchinista interpretato da Samuel L. Jackson, a cui è richiesto un ruolo macchiettistico a cui la verve dell’attore ben si presta. Curioso notare che i due attori tornano a lavorare insieme proprio in un’opera tratta da King, visto che nel 2007 recitarono nell’horror paranormale 1408, anch’esso non del tutto riuscito ma perlomeno più stratificato.

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A metà tra La città verrà distrutta all’alba e The Walking Dead (per le ambientazioni spesso boschive e la costruzione on the road), Cell pesca a piene mani dal cinema apocalittico-zombesco con qualche richiamo perfino a Terrore dallo spazio profondo ed E venne il giorno di Shyamalan. Se il risultato è così mediocre, buona parte della colpa va proprio a King, maestro della narrativa ma evidentemente poco autocritico quando si tratta di scrivere sceneggiature: Cell ha semplicemente un adattamento sbagliato, con una discutibile selezione su cosa raccontare (in confronto al romanzo) e come farlo. Una storia come Cell avrebbe sicuramente meritato un’altra scrittura e un budget maggiore, o – ancor meglio – un adattamento sottoforma di serie televisiva, linguaggio sicuramente più consono alle sfaccettature narrative del materiale di partenza.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • L’introduzione.
  • Un certo gusto per il gore.
  • Adattamento frettoloso e superficiale.
  • I personaggi non hanno il giusto approfondimento e la forza di reggere la scena.
  • Il finale è un autogol mostruoso.
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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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