Chernobyl: il nocciolo della questione
L’orrore.
Il dolore.
L’angoscia.
L’ansia.
Immagini truci, crude e che fanno letteralmente rivoltare lo stomaco.
Gli attori così bravi, da sembrare davvero i politici russi di fine anni Ottanta.
Una catastrofe immane, un evento realmente accaduto.
Sì, parliamo di Chernobyl, la serie tv più bella di sempre e con il voto più alto della storia dato dagli utenti (più di Breaking Bad, più di Game of Thrones, più di qualsiasi altro prodotto seriale).
Ma è veramente così?
Risposta formale: sì, può essere.
Risposta ufficiosa: assolutamente no.
Ma, come sempre, procediamo con ordine.
Innanzitutto – tecnicamente parlando – non si tratta di una serie tv, ma di una miniserie evento (avete presente When They See Us? Ecco, così) che narra i fatti della catastrofe nucelare di Chernobyl avvenuta nel 1986.
La storia si articola in cinque puntate: le prime due, praticamente perfette e con dei cliffhanger finali letteralmente pazzeschi; le restanti tre, maggiormente incentrate sul fattore politico.
I “protagonisti” sono molteplici: da Valerij Legasov (interpretato da Jared Harris) a Gorbacev, da Ulana Khomyuk (Emily Watson) a Boris Shcherbina, ovvero Stellan Skarsgård.
L’interpretazione di tutti gli attori è praticamente immensa, così accurata che, però, risulta paradossalmente fredda.
Ecco, il vero nodo da sciogliere: il realismo dei fatti raccontati, da qualsiasi punto lo si voglia guardare, risulta creare un distacco emotivo non indifferente.
Provo a spiegarmi meglio: fa male, tanto male, guardare cani ammazzati atrocemente e pompieri che letteralmente si sciolgono nelle loro stesse carni; fa male capire che questa catastrofe è realmente accaduta e che si poteva tranquillamente evitare; fa male vedere mamme che abortiscono e la natura contaminata.
Fa male, fa tanto male.
Ma il vero problema è che sembra che abbiamo guardato un documentario.
E i documentari ti trasportano emotivamente? No.
Fanno riflettere, danno un valore alla storia, alla realtà, alla verità… ma non lasciano il segno.
Per questo motivo Chernobyl non è la serie più bella di tutti i tempi: perché non è una serie tv.
Non può – e non deve – essere paragonata a Game of Thrones e a Breaking Bad: queste sono pietre miliari che hanno fatto la storia della tv, che hanno un sistema complesso di narrazione e di creazione di ogni singolo episodio.
Chernobyl è lenta, a tratti noiosa, troppo politica, con dialoghi che affrontano – giustamente – sempre lo stesso argomento, ma da diversi punti di vista.
Non è emotiva, ad esempio, come un’altra miniserie evento del calibro di When They See Us.
Lascia l’amaro in bocca, è vero, ma forse perché oggigiorno siamo tristemente “abituati” a leggere e a vedere immagini forti.
Il dolore del 1986 sembra così lontano, un dolore che già abbiamo vissuto e che, purtroppo, si è perso nel tempo.
L’intento di questa miniserie (cosa che, tra l’altro, si intuisce dalle didascalie finali) è quello di rendere omaggio alle vittime della catastrofe cercando di approfondire e scavare in ogni singola parola per cercare la verità.
Intento nobile e ben riuscito da parte di Craig Mazin e HBO, ci mancherebbe altro.
Ma la freddezza e, a volte, il distacco con gli attori e le vicende narrate purtroppo permangono.
Vorrei chiudere, con la mia frase preferita, sperando di lasciare un’emozione e un pizzico di empatia: “Le chiediamo il permesso per uccidere tre persone“.
Fabrizio Vecchione
Lascia un commento