Chiamatemi Anna: tra logorrea e Sindrome di Pollyanna

Sebbene in patria o in gran parte dei paesi anglofoni il romanzo Anna di Tetti Verdi dell’autrice canadese Lucy Maud Montgomery sia un pilastro della letteratura per l’infanzia che ha ispirato innumerevoli film per la televisione, la sua fama internazionale è probabilmente dovuta al famigerato anime giapponese del 1979 prodotto dalla Nippon Animation, a cui dobbiamo la trasposizione di altri classici per l’infanzia come Pollyanna, Marco – Dagli Appennini alle Ande, Flo la piccola Robinson, Cuore e Sui monti con Annette.

La serie Netflix Chiamatemi Anna (in inglese Anne with an “E”) la cui prima stagione fu mandata in onda nel 2017 e di cui questo 3 gennaio 2020 è uscita la terza e (forse) ultima, nasce da una co-produzione col canale canadese CBC Television e l’adattamento di Moira Walley- Beckett (Breaking Bad, Pan Am).

Anna Shirley (Amybeth McNulty) è un’orfana di tredici anni che ha trascorso la sua breve esistenza presso famiglie affidatarie o nelle fredde soffitte di un orfanotrofio di Nuova Scozia; un giorno le viene comunicato che andrà a vivere con due anziani fratelli di Avonlea, Marilla (Geraldine James) e Matthew Cuthbert (R.H. Thomson), per aiutarli nella loro fattoria a Green Gables. La coppia in realtà aveva richiesto un ragazzo ma a causa di un disguido è stata mandata loro Anna, nonostante i primi problemi causati dal carattere scontroso di Marilla e l’eccessiva esuberanza, per non dire logorrea, della ragazzina, quest’ultima riesce a fare breccia nel cuore dei due vecchi fratelli e viene legalmente adottata.

Tuttavia i problemi non sono finiti per la nostra eroina che dovrà integrarsi nella piccola e bigotta comunità di Avonlea, in cui è normale etichettare come “strana” una persona fuori dalle righe come lei: Anna infatti fin da bambina è riuscita a superare lo squallore e la severità che la circondavano grazie alla propria immaginazione con cui creava storie sulle avventure di una principessa di nome Cordelia;  da allora non ha smesso di inventare racconti su tutto ciò che la circonda e “decorare” la realtà con infiniti panegirici.  La sua mente fervida e originale riesce ad attirare l’attenzione della sua futura migliore amica Diana Barry (Dalila Bela), ragazza bella e ricca, e di Gilbert (Lucas Jade Zumann), ragazzo maturo e popolare; ad essi si aggiungerà un sempre più nutrito gruppo di amici “outsider” come la nuova maestra Muriel Stacey e Bash (Dalmar Abuzeid), un giovane afroamericano con cui Gilbert rimetterà in sesto la fattoria di famiglia.

L’adattamento di Walley-Beckett introduce personaggi nuovi, come Bash, e dà una bella spolverata ad altri che magari erano passati in secondo piano nel romanzo, la maggior parte delle disavventure di Anna e dei suoi amici sono un pretesto per affrontare alcuni problemi molto attuali come l’accettazione delle diversità (body positive, omosessualità), il razzismo, il sessismo, il classismo etc. Il personaggio di Anna ha lo spirito di una millennial progressista che vede un tesoro in tutte le diversità possibili e gli sceneggiatori sono stati molto bravi a camuffare questa suo inverosimile entusiasmo con una sorta di sindrome di Pollyanna nata dal suo passato difficile; perché la nostra protagonista non è affatto un deus ex machina che rischiara la vita dei cittadini di Avonlea: è una combattente maldestra e logorroica che dopo mille errori e gaffe riesce ad aprire al dialogo il cuore degli altri, anche solo per la simpatia che suscita.

La narrazione è permeata dal realismo: in un Canada di fine Ottocento ricostruito nei minimi dettagli (con i suoi treni a vapore, i suppellettili antichi, le lavagnette in ardesia e i cibi fatti in casa) si intrecciano le vite di tutti i personaggi che piano piano imparano a migliorare sé stessi e ad aprirsi verso un mondo che sta cambiando.

Amybeth McNulty riesce a rendere al meglio il personaggio di Anna con una recitazione istrionica e una fisicità davvero azzeccata che rende credibile le battaglie personali della protagonista, così come l’algida Geraldine James impersona una Marilla sempre più estroversa e piena di amore materno. La limpidezza della scenografia e la luce naturale in cui gli attori sono immersi fa quasi sorgere nello spettatore la nostalgia per una quotidianità più “genuina” in cui le debolezze umane erano meno soffocanti.

Questo stile narrativo così evocativo tuttavia non è adatto a tutti, forse per questo la serie non è stata rinnovata per una quarta stagione, o probabilmente la stessa Anna col suo carisma non è un personaggio digeribile a tutti gli spettatori moderni che prediligono gli antieroi piuttosto che le paladine vecchio stile.

Chiamatemi Anna è comunque una serie di grande qualità tecnica e soprattutto dalle grandi potenzialità didattiche che col tempo troverà il suo giusto riconoscimento presso il grande pubblico.

Ilaria Condemi de Felice

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One Response to Chiamatemi Anna: tra logorrea e Sindrome di Pollyanna

  1. Antonino Aversa ha detto:

    Ho rivisto le serie da poco su netflix, chiamatemi Anna è davvero eccezionale, semplice genuina e piena di riferimenti alle problematiche ancora attuali, é assurdo che continuano serie tv senza senso ed interrompano una così bella Anna è davvero fantastica va dritta al cuore ed è semplice trattando temi difficili senza volgarità spero con tutto il cuore che venga ripresa……..

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