Dark Night, la recensione

Trattando lo stesso tema di Elephant di Gus Van Sant, girare Dark Night non deve essere stata una cosa semplice, dal momento che le aspettative erano alte e la pressione data dalla tematica delicata pesante e continuata nel tempo. Ma Tim Sutton (Memphis, Pavillon) si è dimostrato all’altezza, dando alla strage di Aurora, Colorado, tutta l’attenzione che una sparatoria da 12 morti e 70 feriti merita.

L’argomento viene trattato con molta calma e delicatezza, i tempi rispecchiano oggettivamente la lunghezza della pellicola del maestro Van Sant, e la loro composizione soggettiva è legata al ritmo delle musiche: elettro-pop e remix che quando intervengono sulla narrazione chiedono calma allo spettatore, calma che serve quando parliamo di raccontare la quotidianità di una giornata lacerata verso la sua fine, in un cinema, quando le vittime probabilmente già assaporavano il gusto della cena e delle chiacchiere post-proiezione.

Questa serie di riconoscimenti sono a loro volta stati confermati dalla vittoria del film della “Lanterna Magica”, premio ricevuto durante la 73esima Mostra del Cinema di Venezia. Il film, che ha partecipato anche al Sundance, New York, inizia con effetti ottici creati con le luci rosse e blu, quelle della polizia, mediate da una ragazza che ha assistito agli avvenimenti e che viene trasformata in una sorta di performer grazie alla magistrale combinazione di luci e musica sperimentale. E di sperimentale abbiamo anche l’utilizzo della camera, che differenzia quest’opera da Elephant in quanto la proposta tecnica abbraccia movimenti orizzontali, piuttosto che in profondità, quasi vi fosse una spasmodica ricerca dei confini. Sull’utilizzo di questa modalità registica vi è poi anche una seconda interpretazione: i movimenti orizzontali sono quelli che caratterizzano i movimenti di un gameplay.

L’argomento tecnologia viene ripreso più volte nel suo utilizzo contemporaneamente quotidiano (e legato all’uso del proprio corpo se parliamo di valorizzazione della bellezza con selfie e posizioni da fashion blogger) ed è la stessa tecnologia televisiva che offre una chiave di lettura dell’avvenimento: un fatto accade sempre in una giornata qualsiasi. Per questo il regista ha scelto di iniziare dal quotidiano, ad esperire con le vittime. E avere a che fare con il quotidiano negli Stati Uniti significa cimentarsi nel confronto con la Cina, le cui vicende vengono presentate dai telegiornali, il cui simbolismo si esprime attraverso gli animali che ognuno degli sfortunati protagonisti ha in casa. In Cina, infatti, a una tartaruga corrispondono certe caratteristiche di una personalità, a un gatto ne corrispondono altre, a un serpente altre ancora.

Dal punto di vista fotografico abbiamo sempre immagini legate alla realtà, i cui confini si vanno a confondere con quella virtuale nel momento in cui vengono usate le Maps, per pianificare la strage e rivedere il percorso che l’assassino compierà. Ma questo è solo uno dei confini sociali che vengono approfonditi nel film: un altro è legato alla vera guerra in Iraq, alle tensioni psicologiche che si manifestano in soldati che tornati dal fronte si credono al sicuro, ma non lo sono, ai rapporti madre-figlio inesplorati, a rapporti solidi tra ragazzi quando a unirli è lo sport (lo skateboard, non a caso). Bisogna dire che il lavoro è stato condotto abbastanza a fondo nella psicologia dei personaggi senza essere troppo noioso o superando la distanza che il cinema di una certa qualità richiede; solo in un caso, in una carrellata a due, si sente che il ritmo è stato forzato o che comunque non è quello della scena. Quattro secondi su un’ora e venti: non male.

E vi è anche un punto in cui Sutton prevarica il suo maestro: il prendere una posizione. Secondo Sutton sarebbe il culto moderno del corpo a emarginare definitivamente alcuni ragazzi rispetto agli altri. Una volta ci si dava degli sfigati, ora il messaggio è implicito nei like che mancano a un profilo, nelle condivisioni non avvenute da parte dei coetanei. Un sistema macrosociale, che va in contro tendenza a quello microsociale, fatto di club infrascolastici di ogni genere, il cui compito è sempre stato quello di costruire nuove amicizie attraverso attività di gruppo.

E nel  mondo artificiale degli uomini, il grande mangia sempre il piccolo

Roberto Zagarese

PRO CONTRO
  • Ottima regia.
  • Uso non esasperato della sperimentazione.
  • Un paio di personaggi accennati e poi dimenticati.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Dark Night, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

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