Diabolik – Ginko all’attacco!, la recensione

Mentre l’Italia sembra essersi svegliata dal torpore cinematografico in cui ha vissuto per troppo tempo, il cinecomic prende d’assalto anche le produzioni nostrane e se il buon esordio della Bonelli con Dampyr non convince al botteghino, i Manetti Bros. ci riprovano con il secondo dei tre film annunciati su Diabolik.

Dopo il discreto successo commerciale dello scorso anno, Diabolik torna al cinema con Diabolik – Ginko all’attacco! che va a trasporre l’omonimo fumetto del 1964 scritto dalle sorelle Giussani e incentrato su un nuovo colpo del Re del Terrore, stavolta messo in seria difficoltà dall’Ispettore di polizia di Clerville.

Diabolik ed Eva Kant riescono a mettere a segno l’ennesimo colpo miliardario che stavolta interessa i gioielli della preziosa collezione Armen. Ginko, però, ha riservato una trappola ai due ladri e proprio mentre sta per catturali Diabolik riesce a fuggire abbandonando ferita Eva, che però fa perdere le sue tracce in un fiume. Ginko ha ormai individuato il covo dei ladri e lo fa sorvegliare giorno e notte convinto che Diabolik prima o poi si faccia vivo. È Eva Kant, invece, a mettersi in contatto con la polizia, vogliosa di vendicarsi del suo amante e complice che l’ha tradita durante la fuga, così escogita con Ginko un tranello per catturare Diabolik.

Se Diabolik del 2021 non aveva del tutto convinto a causa di una completa assenza di ritmo e una messa in scena un po’ sciatta che, richiamando gli sceneggiati degli anni ’60, somigliava troppo una fiction tv, Diabolik – Ginko all’attacco! si mostra altrettanto deludente ma non essenzialmente per gli stessi motivi.

Innanzitutto, in questo secondo film notiamo un netto miglioramento dal punto di vista visivo con una sostanziale rivoluzione nella fotografia (stavolta affidata ad Angelo Sorrentino) che dona al film un più accattivante aspetto cinematografico. Purtroppo, però, non ci sono reali passi avanti sotto l’aspetto della narrazione, troppo compassata, dilatata, con tempi che non riescono a sostenere le moderne esigenze di un thriller d’azione. Inoltre, a differenza del primo film che era narrativamente strabordante – anche perché basato sulle storie di ben due albi – in Ginko all’attacco! c’è anche poca carne al fuoco con una parte centrale che gira sostanzialmente a vuoto e una presenza in scena di Diabolik ed Eva Kant ridotta all’osso.

Su quest’ultimo punto, però, c’è da notare che il vero punto nevralgico del film è in realtà l’Ispettore Ginko di Valerio Mastandrea, sul quale riusciamo a scoprire importanti dettagli della vita personale oltre che la conferma della sua testarda ossessione per Diabolik che comincia ad assumere i connotati di una celata ammirazione. Valerio Mastandrea si conferma il migliore del lotto attoriale e dà vita al personaggio più umano, con il quale lo spettatore riesce a empatizzare più di ogni altro.

In questo film facciamo conoscenza anche di Altea, Duchessa di Vallenberg, personaggio che originariamente non compare in questa storia, tormentato amore segreto di Ginko che nel film ha le fattezze di Monica Bellucci. Ecco, qui andrebbe aperta una parentesi enorme sulla necessità oggi, come accadeva un tempo, di far doppiare (non da se stessi) alcuni attori italiani, perché la Bellucci in questo film è francamente inascoltabile e il suo insensato tentativo di dare una caricaturale inflessione straniera al parlato del suo personaggio provoca un’incontenibile effetto comico.

Diciamo che la recitazione, comunque, è un difetto diffuso in questo secondo Diabolik, quasi non ci fosse stata una reale cura nella direzione degli attori. Lo possiamo notare, purtroppo, anche su Miriam Leone che nel primo film aveva dato vita a una Eva Kant perfetta e invece qui sembra quasi distratta, svogliata, scollata dal personaggio e soprattutto priva di chimica con il nuovo Diabolik. Eh già perché qui, dopo la pessima performance di Luca Marinelli, il Re del Terrore cambia volto (senza alcuna spiegazione narrativa, anche se sarebbe stato facilissimo da giustificare) e guadagna un ben più adatto Giacomo Gianniotti che ha le fisique du role ma non il carisma attoriale per sostenere il ruolo.

È molto interessante notare che se il primo film, ambientato negli anni ’60, si rifaceva all’estetica dei Sixties, questo secondo fa un salto (non dichiarato ma palese) di un decennio per trovare negli anni ’70 un punto di ancoraggio che si riflette nella messa in scena e nelle citazioni. Su tutte va assolutamente segnalata la “sigla” d’apertura dal sapore bondiano che si svolge sulle note dell’inedito di Diodato Se mi vuoi, ma soprattutto l’eccellente lavoro musicale svolto da Pivio e Aldo De Scalzi che si rifà all’elettro-rock di quella decade e, in particolare, ai lavori dei Goblin con una scena che ripropone – coverizzato – un riconoscibile momento musicale di Profondo Rosso.

Ora attendiamo il terzo e ultimo film della trilogia di Diabolik, annunciato per il prossimo anno, augurandoci che gli errori fino ad ora riscontrati possano essere corretti; perché Diabolik è un brand davvero magnifico e molto adattabile ad altri media, ma per il momento la strada presa non sembra quella vincente nonostante l’assoluta fedeltà narrativa e visiva al prototipo che i Manetti Bros. e il compianto Michelangelo La Neve hanno seguito per questi film.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Le musiche.
  • La fedeltà al materiale fumettistico.
  • Visivamente più accattivante del precedente.
  • La recitazione, Monica Bellucci in primis.
  • Il ritmo, che non c’è.
  • Alcuni effetti speciali, come l’orribile effetto beauty applicato inutilmente sulla Bellucci.
  • Perché non giustificare il cambio d’aspetto di Diabolik? Bastava davvero poco, come una foto di Marinelli appesa al muro del laboratorio vicino alla macchina per le maschere.
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