Dio esiste e vive a Bruxelles, la recensione

Sei anni dopo il successo di Mr. Nobody (ottenuto soprattutto nei circuiti festivalieri, nonché in Belgio, patria del regista), Jaco Van Dormael ritorna alla regia con Dio esiste e vive a Bruxelles; se nel primo film citato narrava gli effetti del Caso, nel suo ultimo lavoro ipotizza invece che a manipolare le nostre vite sia Dio. Scordatevi però l’interpretazione zuccherosa di Morgan Freeman in Una Settimana da Dio: di fatto, nel film di Van Dormael, Dio (Bernard Poelvoorde) è un essere abietto e arrogante, che passa le giornate avvolto in una vestaglia sudicia mentre rende infernali le vite degli uomini sulla Terra. La base da cui orchestra il tutto si trova in un appartamento di 3 stanze ammobiliate a Bruxelles, che divide con la moglie e la figlia Ea, di undici anni: quest’ultima, una volta resasi conto delle azioni riprovevoli compiute dal padre nei confronti dell’umanità, decide di prendere in mano la situazione. Dietro consiglio di JC, suo fratello (sì, è proprio Gesù: vive con la sua famiglia sotto forma di statuina), Ea si appresta a scendere tra gli uomini per scrivere il nuovo Nuovo Testamento, non prima di aver inviato dal computer del padre le date di morte di ciascun essere umano tramite sms.

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L’incipit di Dio esiste e vive a Bruxelles, come si evince dalla trama, presenta indubbiamente delle sfaccettature intriganti e spassose: il pubblico freme dalla voglia di sapere dove il regista intenda condurlo. Di fatto la mente di Van Dormael ha partorito uno scenario caleidoscopico (come accadeva, del resto, anche in Mr. Nobody), in cui ciò che succede sembra obbedire a un’unica regola, ovvero “Perché no?”. Ecco dunque che assistiamo a situazioni al limite del parossismo, come quando Dio, alle prese con la creazione del mondo, ha l’idea di popolare Bruxelles con giraffe e struzzi; o la realizzazione, da parte del medesimo, di leggi universali come “Al supermercato la fila accanto è sempre la più veloce”.

In questa parte la fantasia a briglie sciolte del cineasta si sposa perfettamente col calderone delle credenze popolari (come la Legge di Murphy), in modo da riflettere in maniera inedita sulle vicissitudini che legano il genere umano; il tutto è condito da trovate dall’allure cult e battute al vetriolo. Anche la scelta di donare grande spazio all’ipotetica figlia di Dio, ovvero Ea, si rivela una decisione originale quanto in linea con la poetica del cineasta, il quale ha sempre dato molta importanza al mondo dell’infanzia e ai bambini come portatori di un messaggio di speranza e cambiamento.

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Tuttavia, nonostante questa premessa scanzonata in grado di intrattenere sapientemente il pubblico, la parte centrale del film scivola in un mood maggiormente sottotono, in cui la storia è scandita dalla ricerca di Ea di sei nuovi apostoli. Questi personaggi si presentano come emarginati dalla società, ognuno con una speciale peculiarità… e praticamente nessun’altra caratterizzazione; Van Dormael, come in Mr. Nobody, vuol dirci attraverso essi che non esistono scelte giuste o sbagliate, e dunque tutti hanno diritto di scegliere il proprio approccio alla vita: di fatto tra i sei apostoli c’è chi si innamora di un gorilla o chi decide di vestirsi da femmina pur essendo un bambino. In questa parte quindi, ciò che c’è di migliore nei film del regista belga, ovvero il suo lirismo surreale e fuori dagli schemi, viene piegato al servizio di una filosofia eccessivamente spicciola e mainstream. L’inizio così promettente viene messo da parte per rappresentare degli episodi apparentemente scioccanti, ma in verità inseriti solo per dare adito alla convinzione, davvero abusata, del fatto che ognuno è speciale in quanto se stesso.

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Certo c’è anche un altro versante presente nella pellicola, un lato più amaro che delinea con accuratezza questo mondo odierno allo sbaraglio: Bruxelles è descritta come una città terribile, e partendo da tale riflessione è difficile non pensare a ciò che è successo in questi giorni nella medesima città e a Parigi. Ma sarebbe sbagliato vedere Dio esiste e vive a Bruxelles come una critica alla religione: è vero che Van Dormael approfitta della dottrina religiosa per creare un Dio cinico e sbruffone, ma lo fa unicamente per mettere a punto, ancora una volta, le sue opinioni sulla società, contornate da un umorismo sagace ed eccentrico. Peccato che quest’ultimo lato si perda, come detto, nelle speculazioni filosofiche piuttosto insignificanti messe in atto all’interno della seconda fase del film.

Dio esiste e vive a Bruxelles uscirà nelle nostre sale il 26 novembre, distribuito da I Wonder Pictures.

Giulia Sinceri

PRO CONTRO
Van Dormael mette nuovamente a segno un apparato caleidoscopico, contornato da un umorismo sagace e particolare che regna soprattutto in una prima parte originale e convincente.

 

Purtroppo la messa in scena, inizialmente divertente e intrigante, si perde nel mare di speculazioni filosofiche, in verità piuttosto spicciole e banali, che caratterizza per certi versi la poetica del regista in questione.
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