Doctor Strange nel Multiverso della Follia, la recensione

Che i film del Marvel Cinematic Universe abbiano un forte marchio produttivo ma non necessariamente registico lo sanno anche i sassi. Quei pochi casi in cui un regista con un curriculum importante e/o uno stile ben riconoscibile hanno firmato la regia di uno di questi film si è sempre notato (parliamo di Kenneth Branagh, James Gunn, Taika Waititi, Chloé Zhao), pur adattandosi fortemente alle esigenze del contesto in cui stavano operando. Con Doctor Strange nel Multiverso della Follia, ventottesimo film dell’MCU, quinto della Fase 4, le cose cambiano un pochino e la mano dell’autore chiamato in cabina di regia, Sam Raimi, è molto presente. Diciamo che se in Thor scorgevamo Branagh più per gli intrighi shakespeariani ad Asgard e in Eternals si vedeva il tocco della Zhao per la valorizzazione degli scenari naturali e le scelte fotografiche, Doctor Strange nel Multiverso della Follia – anche nell’inconsapevolezza di chi abbia firmato la regia – lo definiremmo proprio un film “a la Raimi”.

E questo è un dato importante se pensiamo che si tratta di una “saga” che va avanti da ventiquattro anni e viene abbracciata da Autori con la “A” maiuscola che riescono ad esprimere il loro stile in prodotti che non dialogano necessariamente (almeno non solo) con il pubblico che li ha amati nel tempo. E Produttori con la “P” maiuscola come Kevin Feige capaci di gestire un meccanismo così complesso e importante lasciando anche libertà creativa in chi se la può permettere. Non è un dato da poco e va a sottolineare quanto sia rivoluzionaria questa gigantesca impresa cinematografica senza precedenti chiamata Marvel Cinematic Universe.

Ma veniamo a Doctor Strange nel Multiverso della Follia.

Mentre Stephen Strange assiste come invitato, non privo di uno sguardo malinconico, al matrimonio della sua ex Christine Palmer, in strada esplode il caos: una creatura tentacolare di origine ignota semina distruzione mentre dà la caccia a una ragazzina. Doctor Strange interviene, ferma il mostro e salva la ragazzina scoprendo che quest’ultima si chiama America Chavez, proviene da un universo parallelo e ha il potere di aprire portali inter-dimensionali viaggiando liberamente nel multiverso. Qualcuno è interessato al potere unico di America e le sta dando la caccia nei vari universi in cui si rifugia per prelevarglielo, a costo di ucciderla. Stephen Strange promette alla ragazza che nessuno le farà del male se è con lui e per questo la porta a Kamar-Taj, ma non può affrontare da solo la minaccia che si sta muovendo nei vari universi e per questo decide di chiedere aiuto all’unica altra avenger con poteri magici, Wanda Maximoff.

Per godere appieno di Doctor Strange nel Multiverso della Follia e comprendere ogni sfumatura di questo complesso secondo film dedicato al Signore delle Arti Mistiche bisogna aver visto fondamentalmente la prima serie del Marvel Cinematic Universe, WandaVision, a cui questo film è strettamente collegato e fa seguito; ma non guasterebbe anche una infarinatura generale di What If…, la serie antologica animata dell’MCU dalla quale il film riprende alcuni personaggi e situazioni. Insomma, mai come in questo caso, un film di questa saga è strettamente intrecciato con quanto lo ha preceduto e per la prima volta si fanno propedeutiche anche le serie tv, ormai parte integrante di questo enorme universo condiviso.

Da una parte questo dato getta una preoccupante ombra su quanto si sta facendo perché richiede una dedizione importante (e tanto tempo libero) allo spettatore affezionato, ma dall’altra rende ogni tassello davvero meritevole di esistere. Cioè, mentre guardavamo What If…, per esempio, molti di noi hanno sicuramente avuto la percezione del prodotto un po’ fine a se stesso, cosa in parte smentita da questo film, per non parlare di WandaVision che diventa perfino fondamentale, una parentesi importantissima, nello sviluppo di alcuni personaggi tanto da influenzare gli eventi del contesto generale, come scopriamo in Doctor Strange 2.

A tal proposito, impossibile non lodare Elizabeth Olsen e la sua Wanda, anzi Scarlet Witch, un personaggio che fino a qualche film fa era rimasto un po’ defilato sullo sfondo, seppur molto apprezzato dagli spettatori/fan, che ha avuto una crescita importante nella serie tv a lei dedicata fino a raggiungere una consapevole maturità in Doctor Strange nel Multiverso della Follia dove è una fondamentale comprimaria. Il personaggio di Scarlet Witch è il più sfaccettato e meglio gestito dell’intero film, il suo arco narrativo è completo e la sua interprete le dona quella fragilità interiore fondamentale per rendere credibili e ambigui i suoi comportamenti. Un gran personaggio, c’è poco da girarci attorno.

Se Benedict Cumberbatch è ormai un tutt’uno con il suo Doctor Strange – mai scelta di casting poteva essere più felice – e notiamo, per la seconda volta di seguito dopo Spider-Man: No Way Home, un’ingenuità, se vogliamo una leggerezza, nel suo comportamento, la giovane Xochitl Gomez nel ruolo di America Chavez ci prende tantissimo. Nata appena dieci anni fa sulla testata Marvel Vengeance, America Chavez è uno di quei personaggi un po’ difficili da gestire nell’ottica del Marvel Cinematic Universe ma ottimamente integrata nel corso narrativo intrapreso dalla Fase 4, perfino fondamentale per alcuni elementi di questo corso, che getta le basi per riuscire ad essere amata e apprezzata dal pubblico anche per inevitabili sviluppi futuri.

Ed è proprio in Doctor Strange nel Multiverso della Follia che abbiamo la conferma di quale è il filo conduttore di questa anomala Fase dell’MCU, una quarta Fase sicuramente sperimentale per diversità di personaggi, temi e toni, ma che sta delineando l’argomento comune dell’esplorazione dei diversi universi, fino a qualche mese fa sconosciuti ai “nostri”.

E si diceva di Sam Raimi. Seppur ci metta una mezz’ora a palesarsi lo stile inconfondibile del regista di Evil Dead e Darkman, poi Doctor Strange nel Multiverso della Follia diventa fortemente intriso della sua visione registica ben riconoscibile, tanto che lo sceneggiatore Michael Waldron costruisce intere sequenze citando L’armata delle tenebre, con un ultimo atto che è di fatto un fanta-horror a base di morti viventi e anime dannate (con voce il falsetto). Si, se ve lo state chiedendo c’è anche il cameo di Bruce Campbell. Non poteva essere altrimenti!

Dunque, considerando che si potrebbe dire tanto altro su Doctor Strange nel Multiverso della Follia e delle sorprese che offre ma si rischia di incorrere nello spoiler, a conti fatti il film è dannatamente riuscito, divertente e bizzarro al punto giusto, pregno di quella follia necessaria a collimare la visione di un regista con uno stile ben sedimentato nell’immaginario e un personaggio sopra le righe come pochi altri. Se vogliamo essere pignoli, abituati a cinecomics ormai dalle durate mastodontiche, un film così denso come Doctor Strange nel Multiverso della Follia poteva tranquillamente durare di più e approfondire alcuni aspetti che, nelle due ore scelte, risultano un po’ veloci/superficiali.

Insieme a Spider-Man: No Way Home, per ora Doctor Strange nel Multiverso della Follia è il punto saldo imprescindibile di questa Fase 4.

Due scene post credits e la prima è piuttosto importante.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Un tocco di sana follia nell’MCU.
  • La mano di Sam Raimi si sente moltissimo.
  • Il personaggio di Wanda/Scarlet Witch e la sua evoluzione.
  • Uno di quei casi in cui una ventina di minuti in più sarebbero stati graditi e magari anche utili a prendere un po’ di respiro.
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