Dogtooth, la recensione

La rinascita del cinema greco ha una data, un nome e un titolo: la data è il 2009, il nome è Yorgos Lanthimos, il titolo è Kynodontas, o Dogtooth, se preferite l’accezione internazionale anglofona.

È con questo minuscolo film di ormai 11 anni fa che Lanthimos si è fatto conoscere dal pubblico di tutto il mondo grazie al premio come Miglior film nella sezione Un certain regard di Cannes 2009 e la candidatura come Miglior film straniero agli Oscar 2011, un family drama così bizzarro e disturbante da non poter certamente passare inosservato! E infatti da quel momento la carriera del regista greco è decollata, prima con il romance distopico The Lobster, poi con l’horror Il sacrificio del cervo sacro, fino alla vittoria di un Oscar (con ben 10 candidature) per La favorita.

Ma tutto parte da Dogtooth, appunto.

Dogtooth

Una famiglia vive in una grande villa nella campagna greca. Padre, madre, due figlie, un figlio. Una convivenza tranquilla, armonica e apparentemente felice, finché scopriamo che i tre ragazzi si comportano in modo molto strano. I tre ventenni, infatti, non hanno mai messo piedi fuori dal cancello di casa, prigionieri di due genitori che, senza apparente motivo, hanno deciso di crescerli nell’inconsapevolezza di un mondo esterno. I ragazzi non hanno una tv, leggono solo libri scolastici, non ascoltano la radio e hanno un’istruzione casalinga deformata dagli insegnamenti genitoriali che tendono a dare un significato differente ai nomi delle cose e una funzione spesso distorta degli oggetti e degli animali. Per loro la parola zombie designa un fiorellino giallo e un gatto e l’essere più pericoloso sulla faccia della terra. L’unico modo per lasciare la loro abitazione è con un’automobile, veicolo che il loro padre prende ogni mattina per andare a lavoro, ma non è possibile imparare a guidare un’automobile finché non sarà caduto un canino superiore. Le cose cominciano a incrinarsi quando Christina, la ragazza che periodicamente viene pagata per soddisfare le pulsioni sessuali del ragazzo, inizia a seminare dubbi nella mente dei tre fratelli, dando il “là” a una reazione a catena che porterà soprattutto la sorella maggiore a porsi delle domande.

Dogtooth

Come in ogni regime totalitario, in cui il leader tiene nell’ignoranza il suo popolo con l’intento del controllo assoluto, quando il popolo comincia a farsi delle domande e a guardare oltre lo steccato del proprio cortile, il regime è destinato a crollare. E così, facendo sua questa allegoria, Yorgos Lanthimos crea un ritratto di famiglia disfunzionale tra le più disturbanti visti nel cinema contemporaneo.

Viene subito chiesto allo spettatore un netto distacco con la realtà e di mettersi nei panni di tre ragazzi che con la realtà non hanno mai avuto a che fare. Inizialmente è straniante e comunque non è semplice entrare nel mondo surreale e grottesco di Lanthimos e non è detto che proseguendo con i minuti di visione, in cui è chiesto uno sforzo di sospensione dell’incredulità non indifferente, si riesca ad accettare quello che scorre sullo schermo. Ma se si entra in questo mondo folle e nel meccanismo dissociato del racconto, Dogtooth è un vero gioiello e se ne può apprezzare tanto la ricercatissima regia quanto le intuizioni narrative all’insegna del disgusto e della follia.

Dogtooth

Caratterizzato da lunghe inquadrature fisse, che spesso decentrano il protagonista della scena, da uno sguardo voyeuristico e intento a sottolineare i momenti più scomodi e imbarazzanti, Dogtooth costruisce un microcosmo di disagio e crudeltà che utilizza spesso un linguaggio grottesco per descrivere momenti degni del più morboso film horror. Il sesso è centrale nel racconto di Lanthimos, mostrato senza filtri, di una crudezza repellente, così come la violenza è spesso protagonista della scena; una violenza rielaborata dalla mente infantile dei tre ragazzi protagonisti che fanno del male e si fanno del male pensando come penserebbe un bambino. Coltellate, animali uccisi con crudeltà, zuffe per motivi futili, automutilazioni: una visione della vita (e della morte) così irreale da dar addito alle peggiori scelleratezze.

Ma tanto orrore genera poesia e su tutto il racconto aleggia un’aria sognante, supportata anche dalla fotografia molto luminosa di Thimios Bakatakis e dall’interpretazione sopra le righe di alcuni attori (la bravissima Angeliki Papoulia e Mary Tsoni), o tutta giocata in sottrazione come altri (Christos Stergioglou, Michele Valley e Hristos Passalis).

Dogtooth

Dogtooth non è un film per tutti, può disturbare e indignare, è un cinema anarchico e fortemente autoriale più di ogni altra opera successiva di Lanthimos, anche se già in questo c’è tutta la poetica del regista con importanti tematiche che torneranno poi sia in Alps, The Lobster che ne Il sacrificio del cervo sacro.

Dogtooth è arrivato finalmente anche in Italia, al cinema, distribuito da Lucky Red dal 27 agosto 2020, con ben 11 anni di ritardo. Meglio tardi che mai, no?

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Folle, disturbante e geniale.
  • Regia ricercata e interpreti molto bravi.
  • Se non siete abituati a un tipo di cinema così autoriale ed ermetico, non vi ci mettete proprio: potreste odiare Dogtooth.
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Valutazione: 7.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Dogtooth, la recensione, 7.5 out of 10 based on 2 ratings

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