Dolor y gloria, la recensione

Durante la 75° Mostra del Cinema di Venezia, il presidente della Biennale Paolo Baratta in un incontro informale ha rivelato come il presente del cinema sia contraddistinto da due caratteristiche fondamentali: uno stravolgimento continuo della struttura classica in tre atti e il ricorso ad un materiale personale ed emotivo ormai irrinunciabile. Registi emergenti alle prese con l’opera prima, maestri affermati dell’ultimo secolo riescono con sempre maggior naturalezza a comunicare un’intimità spesso relegata a grandi capolavori o a casi isolati.
Dolor y Gloria si inserisce in questo solco alla perfezione e forse è l’opera perfetta per raccontare questa nuovo corso cinematografico. Secondo lo stesso Pedro Almodóvar il film è la conclusione di una trilogia – iniziata 32 anni fa con La legge del desiderio e proseguita con La mala educación – in cui la biografia del regista spagnolo si intreccia con il desiderio e la finzione cinematografica.
Consegnare nelle mani dello spettatore la propria vita, i propri dolori e le proprie passioni è un atto di coraggio. Il regista spagnolo ripercorre l’esistenza del regista in crisi Salvador Mallo (un bravissimo Antonio Banderas) all’insegna dell’amore, l’unica forza capace di trascendere il tempo e a cui non è possibile sottrarsi in tutte le sue mille accezioni e manifestazioni. E il racconto punta sempre dove la forza emotiva e dove le forme dell’amore si sono manifestate con maggiore potenza.
La fotografia segue l’istinto di questa narrazione avvolgendo in un quadro cromatico dominato dal bianco e dal rosso il vigore dei sentimenti e delle emozioni scelte per fornire uno spettro visibile di chi è l’uomo racconta attraverso il cinema. C’è tanta tenerezza e tanto cuore nelle immagini, ma non c’è mai il minimo sentore che qualcosa sia fuori posto o eccessiva. Il cinema è vita come la vita stessa e cinema. La delicatezza con cui questa frase diventa reale è il segno della consapevolezza, umana e registica, che Almodóvar ha raggiunto
Il regista spagnolo ha graffiato qui per l’ultima volta la sua tavoletta di cera, la superficie è ormai ricoperta dai segni lasciati nel tempo. Ora forse è il momento della famigerata tabula rasa ma, come ci insegna la storia, quello che stato è tolto per far posto al suo verrà fuso e assimilato per permettere, a lui stesso e a chi ha avuto modo di goderne, di scrivere, girare e amare ancora.
Andrea De Vinco
PRO | CONTRO |
|
|
|
Lascia un commento