Don’t Worry Darling, la recensione

Nel 1972 vedeva la luce nelle librerie il romanzo di Ira Levin The Stepford Wives, tradotto da noi in La fabbrica delle mogli, che tre anni più tardi ha generato l’omonimo film diretto da Bryan Forbes e interpretato da Katharine Ross. A distanza di cinquant’anni precisi, possiamo affermare che La fabbrica delle mogli è il più grande classico di fantascienza (letteraria e cinematografica) ad essere quasi completamente ignorato dalle masse. In pochi, oggi, conoscono il romanzo di Levin o hanno visto il film di Forbes nonostante si tratti di una storia che ha ispirato in maniera più o meno diretta dozzine e dozzine di opere. Ultima, in ordine cronologica, il secondo lungometraggio da regista di Olivia Wilde, Don’t Worry Darling, presentato fuori concorso alla 79ª Mostra del Cinema di Venezia e in arrivo nei cinema italiani il 22 settembre con Warner Bros. Pictures.

Alice e Jack vivono nella comunità di Victory, una città aziendale che ospita gli uomini che lavorano al progetto top-secret Victory e le loro famiglie. Mentre i mariti trascorrono ogni giorno all’interno del quartier generale del Victory Project, lavorando allo “sviluppo di materiali avanzati”, le loro mogli possono passare il loro tempo occupandosi della casa, della famiglia e dei loro hobby che spesso coincidono con lo shopping e la danza. La vita a Victory sembra perfetta, ma ben presto una delle residenti comincia a mostrare uno strano comportamento che preoccupa Alice spingendola a chiedersi esattamente cosa stiano facendo i loro mariti e perché. Vista la vaghezza delle risposte di Jack, la donna inizia a cacciare il naso in luoghi proibiti e su questioni segrete, sgretolando un poco alla volta l’idillio che fa da facciata a Victory.

Preceduto da numerose polemiche che hanno visto la messa in discussione del ruolo di Olivia Wilde come effettiva regista dell’opera e i dissidi – forse presunti – tra alcuni membri del cast, Don’t Worry Darling si presenta allo spettatore come un film effettivamente problematico.

Se da una parte abbiamo un valore produttivo e artistico notevole, dall’altra si percepisce che qualcosa non ha filato per il verso giusto, soprattutto a livello di scrittura, dal momento che l’essenziale soggetto di Katie Silberman, Carey Van Dyke e Shane Van Dyke si traduce in una sceneggiatura – a opera della sola Katie Silberman – abbastanza pasticciata che sembra quasi il risultato di tagli e rimaneggiamenti. In più di un’occasione inciampiamo in piccoli buchi narrativi, cose non dette e spiegazioni non date che fanno da eco ad esche inutilmente lanciate poco prima, a personaggi che sembrano importanti ma non vengono sviluppati (la Shelley di Gemma Chan, ad esempio), a suggestioni tecno-(fanta)-scientifiche utilizzate come enormi macguffin. Insomma, si arriva ai titoli di coda con una panoramica chiarissima dell’intero film e, allo stesso tempo, con troppe domande senza risposta.

Però, dal canto suo, Don’t Worry Darling ha un’estetica magnifica. La ricostruzione di questo idillio stile cittadina americana degli anni ’50, con i colori pastello, le casette tutte uguali, le strade ordinate, gli abiti e le acconciature sempre impeccabili che urlano un inquietante conformismo sono tutti elementi che creano un’atmosfera sinistra perfetta, supportate anche da una colonna sonora accattivante e una serie di ricercate trovate sonore perfettamente in linea con gli intenti da thriller paranoico. Anche la regia mostra delle intuizioni autoriali molto accattivanti, movimenti di macchina interessanti, soluzioni di montaggio inventive che danno un decisivo slancio alla carriera da regista di Olivia Wilde dopo il mediocre La rivincita delle sfigate.

Impossibile non rimanere affascinati dall’ennesima ottima performance di Florence Pugh, un’attrice che ci mette tutta se stessa in ogni progetto che abbraccia, qui alle prese con un crescente senso di paranoia perfettamente reso per portare la sua Alice vicina allo spettatore. Al contrario, non convince affatto Harry Styles, cantante dei One Direction e ormai solista di fama internazionale, che ha esordito al cinema nel 2017 in Dunkirk di Christopher Nolan ma che deve ancora studiare molto prima di essere considerato un bravo attore.

Molto debitore a La fabbrica delle mogli, con importanti suggestioni che richiamano la serie Marvel Studios WandaVision e un consistente collegamento a Matrix e San Junipero della serie Black Mirror, Don’t Worry Darling è un film riuscito solo in parte, con grandi meriti tecnico/artistici controbilanciati da una scrittura incerta, frammentata e a tratti ridondante. Anche il tema della repressione del femminismo, centrale ne La fabbrica delle mogli perché perfettamente inserito nel contesto storico/culturale dell’epoca, qui non riesce a trovare l’adeguato svecchiamento risultando un sottotesto a tratti urlato ma, in fin dei conti, non indispensabile alla causa.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Regia, montaggio, sonoro e tutto quello che concerne le scenografie e i costumi. Un lavoro ricco e inventivo.
  • Florence Pugh.
  • La sceneggiatura è un goffo taglia e cuci di altre storie con evidenti problemi narrativi.
  • Harry Styles.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Don't Worry Darling, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

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