Euphoria: ovvero la gioventù bruciata, quella vera

Nell’ultima edizione degli Emmy Awards la giovane Zendaya (Spider-Man: Far from Home, The OA) ha trionfato nella categoria di miglior attrice in una serie tv drammatica grazie alla sua interpretazione in Euphoria della HBO. Come una novella Miley Cyrus, questa giovane promessa aveva iniziato con gli show della Disney Channel ma poi anche lei è stata attratta dal “Lato Oscuro” della tv via cavo e ha fatto molto parlare di sé dando anima a una vera adolescente tormentata, quella che i millenials si meritavano.

Euphoria è il remake statunitense di un’omonima miniserie israeliana; questo adattamento curato da Sam Levinson (Another Happy Day, Assasination Nation) ha fatto parlare di sé già dalle primissime puntate per via dei contenuti molto “verosimili” che non sono di certo una novità per la casa di produzione di Sex and the CityIl Trono di Spade e I Soprano, ma possono rappresentare un problema per il target di riferimento, abituato a quella lunghissima tradizione di teen-drama melensi con protagonisti “ribellini”- perché  Chuck Bass e Jen Lindley non valgono manco un mignolo di Regina George di Mean Girls, qualcuno doveva dirlo!

EUPHORIA

Rue Bennett (Zendaya) è una ragazza nata con una serie di disturbi mentali (disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo bipolare e ADHD) che dopo la morte del padre comincia a fare uso delle sostanze più illecite sul mercato, rischiando così di perdere la vita per un’overdose di cocaina. Tornata a casa dopo un lungo periodo di riabilitazione fa la conoscenza di una ragazza giunta da poco in città, Jules Vaughn (Hunter Schafer), e stringe con lei un forte legame. Le vicende personali di Rue e Jules sono il filo rosso attorno a cui si intrecciano quelle di altri ragazzi della scuola, come il quaterback Nate Jacobs (Jacob Elordi) e la sua ragazza tira e molla Maddie Perez (Alexa Demie), le amiche di quest’ultima, la cinica ma insicura Kat Hernandez (Barbie Ferreira) e la chiacchierata Cassie Howard (Sydney Sweeney), a cui si aggiungono gli sgangherati amici di Rue come il “buon” spacciatore Fezco (Angus Cloud) e il suo fratellino/genio del crimine Ashtray (Javon Walton).

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Ognuno degli otto episodi -troppo pochi- da circa un’ora ciascuno -ancora troppo poco- cominciano con la voce narrante della protagonista che presenta gli altri personaggi principali e i loro demoni nascosti: questi sottili ritratti si riveleranno sempre più indispensabili a mano a mano che la trama procede, tanto che si può affermare  che la serie si basa su una narrazione di tipo character-driven il cui pregio consiste soprattutto nel regalare allo spettatore dei personaggi fragili, realistici e  accattivanti al tempo stesso.

Le varie storyline offrono importanti spunti di riflessione ma di certo niente di originale rispetto alla succitata tradizione di prodotti young adult; in Euphoria sono tirati fuori tutti quei sentimenti viscerali che passano per la mente di un adolescente e vengono trattati in maniera rispettosa, senza esagerazioni o velata retorica paternalista: la sessualità è esplicita, cruda e primitiva, la dipendenza da sostanze  stupefacenti non è in alcun modo romanticizzata o “infighettita” così come la trattazione di disturbi mentali: perciò non avrete nessun sputa-sentenze dall’animo dannato che deve insegnare agli altri come “vivere appieno”. I personaggi, inoltre, non si perdono in piagnistei e cercano di risalire la difficile china della loro vita come possono, tra mille errori e disavventure.

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Rue Bennett è comunque la punta di diamante dello show, grazie a un sapiente gioco di luci e fotografia si viene catapultati nella sua mente, ottenebrata da droghe e paturnie, in cui il suo umorismo da folletto sardonico si alterna a sprazzi di maniacalità depressiva.

Meravigliosi comunque i personaggi di Jules e Nate, involontariamente speculari nel loro modo di vivere la rispettiva diversità: Hunter Schafer ci dona un personaggio forte e deciso, racchiuso in un corpo sensuale e diafano da femme fatale e ancor di più esaltato da un make up e un outfit che non tradiscono il suo passato nell’alta moda, mentre  Jacob Elordi sfrutta la propria statuaria corporeità per portare sullo schermo il bad boy più credibile degli ultimi anni – resettiamo il suo Noah Flynn in The Kissing Booth; in ultimo ricordiamo che anche Barbie Ferreira si è ritagliata una discreta fetta di approvazione per il percorso fatto fare al suo personaggio Kat, sebbene il canovaccio della fanciulla curvy che trova la sicurezza in sé stessa grazie alla scoperta della sessualità comincia a essere un po’ datato, e pure vagamente patriarcale (dopotutto Anna Todd ci ha insegnato che anche le Directioners introverse ma ricche di fantasia possono fare i soldi a palate).

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Euphoria quindi riesce a intessere le vicende drammatiche di un gruppo di studenti liceali nel racconto surreale fatto da una protagonista tossicodipendente, che spesso e volentieri rompe anche la terza parete, risultando molto più plausibile del “tenebroso” Riverdale e di Gossip Girl.

Ilaria Condemi de Felice

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