Franny, la recensione

Richard Gere, protagonista del lungometraggio d’esordio di Andrew Renzi, porta sullo schermo la tormentata vicenda del ricco filantropo Franny. Uomo eccentrico e brillante, proprietario di un ospedale, Franny custodisce i fantasmi di un terribile passato, impossibile da seppellire sotto le ceneri del tempo o da soffocare con l’abuso di farmaci. L’incontro, dopo anni silenzio, con la bionda Olivia (Dakota Fanning), giovane da lui amata come una figlia, minaccia di far riemergere sensi di colpa e complessi irrisolti con la forza di un uragano.

L’esile storia del percorso autodistruttivo di un uomo senza più obiettivi né stimoli si snoda attraverso luoghi circoscritti e situazioni reiterate, rivelandosi accurata nella forma ma, purtroppo, povera di contenuti. A metà tra un’ostentata fenomenologia della disperazione e la solita parabola di redenzione dal passato, il film ruota prevalentemente attorno al rapporto tra Franny e la giovane coppia in procinto di avere un figlio, composta da Olivia e Luke (Theo James). In quest’ultima, l’esuberante milionario vede un’occasione di riscatto, la possibilità di lasciare una traccia positiva di sé alle nuove generazioni, la possibilità di perdonarsi e, perché no?, ricominciare a vivere.

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Un’idea di fondo che ha del potenziale è platealmente vanificata da uno sviluppo stanco e senza mordente. Ai meccanismi psicologici che muovono il protagonista, fin troppo spiccioli, non corrisponde un approfondimento in grado di commuovere o, per lo meno, di appassionare. Lo spettatore si ritrova pertanto ad assistere a una serie di virtuosismi attoriali del pur sempre ottimo Richard Gere. Il suo Franny, infatti, si lascia continuamente andare ad eccessi d’ira e di sconforto viscerali e masochistici le cui radici, tuttavia, non riescono ad affondare nelle più intime corde della sensibilità di chi assiste. Di conseguenza, anche la necessaria metamorfosi catartica che seguirà, coronando questo drammone con l’inesorabile dose di semplicistica speranza, risulta inevitabilmente priva di spessore.

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Il battesimo di Renzi convince soltanto in minima parte, in virtù di una messa in scena all’insegna dell’immediatezza e delle convincenti performance del cast. La sceneggiatura, dispiace ribadirlo, non si riscatta mai da un’insipida banalità e una carenza di sostanza.
Franny, diretto da Andrew Renzi, è in sala dal 23 dicembre, distribuito da Lucky Red.

Chiara Carnà

PRO CONTRO
  • Una (ennesima) più che buona interpretazione di Richard Gere.
  • Vicenda già sentita e narrazione priva di mordente.
  • Sceneggiatura ripetitiva e, sostanzialmente, insipida.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Valutazione: +5 (da 7 voti)
Franny, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

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