Game of the Year, la recensione del docufilm sul mondo italiano del gaming

Game of the Year è il secondo film del milanese Alessandro Redaelli che dopo un esordio di culto con Funeralopolis (2017) ritorna al cinema del reale con un documentario d’osservazione che non si ferma alla periferia di Milano ma si estende in tutta Italia, in Europa e perfino sul web. Questo documentario, infatti, parla del mondo del gaming in Italia e lo fa seguendo molte linee in maniera parallela, fra i tanti figurano: lo youtuber Sabaku No Maiku; lo streamer Atrix; lo sviluppatore Matteo Corradini (Matteo dei The Pills), il videogiocatore professionista Reynor. E molti altri volti noti e meno noti della scena videoludica nostrana.

Per quanto in un primo momento l’idea di un documentario di osservazione sul mondo dei videogiochi in Italia possa spaventare, ci si trova immediatamente smentiti: questo film non parla di videogiochi. Sarebbe corretto dire che Game of the Year usa il videogioco come contesto per seguire e raccontare le vite di varie persone unite dal comune denominatore dell’intrattenimento videoludico. Questa è di fatto la vera potenza di questo documentario che riesce con le sue numerose linee narrative a tenere lo spettatore attaccato allo schermo per un’ora e quaranta. Il montaggio del film è costruito sapientemente in modo che a ogni stacco, a ogni salto da una linea all’altra ci si continui a chiedere come le cose stiano procedendo nella storia che abbiamo appena seguito.

Che Redaelli sapesse raccontare bene una storia lo aveva già ampiamente dimostrato con il suo esordio al lungometraggio, ma la sua abilità in questo film raggiunge una dimensione tentacolare; le molteplici linee narrative rispondono ad un unico e solo padrone, la passione per i videogiochi, ma prendono tutte strade e ideologie diverse. Ogni storia ha la sua controparte ideologica e il suo contrappunto magistralmente gestito: il content creator pacato e calmo si alterna allo streamer vorace; il videogiocatore professionista e chi vorrebbe diventarlo si alternano in racconti di vittorie e sconfitte; la piccola compagnia di sviluppatori con poco budget ma tanta passione e il gruppo di borghesi che per noia si mettono a sviluppare un videogioco. Per questo è bene ripetere ancora una volta che Game of the Year non è un film sui videogiochi, ma un film intrinsecamente politico dove spesso il videogioco non è generatore di intrattenimento ma deus ex machina tra il benestare e la miseria dei protagonisti di questa pellicola.

Gaming, videogiochi, Twitch, Streamers e guadagni facili. Si è parlato molto negli ultimi tempi di come questi mondi siano enormi macchine generatrici di denaro.

Redaelli torna al documentario dopo il suo incredibile esordio del 2017 Funeralopolis, uno dei film italiani più interessanti degli ultimi dieci anni, e lo fa in una maniera completamente differente da un punto di vista visivo: non c’è più il bianco e nero e dopo un film completamente girato a mano, la macchina di Redaelli a questo punto è un osservatore fisso che con occhio vigile scruta fino nell’animo di chi gravita attorno al mondo dei videogiochi in Italia. Invariato da un documentario all’altro rimane il take personale di Redaelli sull’ossessione, si è passati dalla dipendenza di eroina a una ricerca ossessiva del successo nel gaming; nella speranza irrefrenabile di portare a termine il proprio progetto videoludico o lo streammare costantemente con il fine di accumulare senza sosta a discapito di chi ti circonda.

Redaelli si riconferma con questo film una delle promesse più importanti del cinema italiano contemporaneo e riesce a regalare al pubblico un documentario che appassiona anche chi non è interessato al mondo dei videogiochi.

Con Game of the Year riesce a gestire un insieme di linee narrative e storie che arrivano tutte dritte al cuore dello spettatore tenendolo attaccato allo schermo. Game of the Year è semplicemente un film sensazionale, innovativo e dirompente.

Emanuele Colombo

PRO CONTRO
  • Storie incredibili e appassionanti.
  • Riesce ad appassionare anche chi è lontano dal mondo dei videogiochi.
  • Il film, nonostante tutto, a volte può risultare estraneo a chi non comprende certi termini o dinamiche specifiche.
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