Gemma Bovery, la recensione

Madame Bovary, celeberrimo romanzo di Flaubert, ha sempre alimentato una ricca fucina di idee, da cui in molti hanno tratto ispirazione e parallelismi (presenti persino in una puntata dei Soprano!). La volubile e capricciosa Emma Bovary è diventata, col tempo, un vero e proprio archetipo: se gli uomini hanno la crisi di mezza età, le donne hanno gli stessi tormenti di questa eroina… poco eroica. Anche nel nuovo film di Anne Fontaine si gioca con questo classico della letteratura francese, cui viene regalata una nuova veste, decisamente vivace ed intrigante.
In un paese quasi idilliaco della Normandia (la stessa ambientazione del libro), arrivano due forestieri a sconvolgerne la pacifica vita: sono i coniugi inglesi Gemma e Charlie Bovery. La moglie (interpretata da Gemma Arterton) è stupenda e sensuale, una vera “english rose”; il marito (Jason Flemyng) è, al contrario, un uomo scialbo ed anonimo. I due si trasferiscono accanto alla casa di Martin Joubert (Fabrice Luchini), ex intellettuale riciclatosi panettiere. Anche se Martin ha cambiato vita, non ha comunque abbandonato l’amore per i libri: uno su tutti, Madame Bovary. Colpito, quindi, dal cognome dei nuovi vicini, si lascia ossessionare dall’idea che il destino di Gemma stia pericolosamente imitando la vicenda del romanzo…

Madame Bovary è, notoriamente, un personaggio difficile da digerire: anche nella graphic novel di Posy Simmonds, da cui è tratto il film, si ritrova una protagonista dal carattere ostile. Nel film invece, si è preferito smussare questo lato; infatti, Gemma Arterton offre un’interpretazione più genuina e naive… Intendiamoci, non è una santa, ma di certo non appare meschina e calcolatrice come l’eroina di Flaubert. Questa decisione rientra tra i punti di forza della pellicola: l’intento di non trasferire in toto la vicenda del libro ai giorni nostri risulta vincente, altrimenti si sarebbe corso il rischio di cadere in schemi già prefissati e di mancare di freschezza. Il paragone tra i due registri è stuzzicante, è vero, soprattutto per chi conosce il romanzo; ma è anche stimolante mantenere una certa suspense nel film.

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Anne Fontaine ha fatto un ottimo lavoro con il cast, scegliendo degli interpreti davvero azzeccati per il proprio ruolo, a partire dagli attori principali fino ai comprimari. Naturalmente, non si può non menzionare Fabrice Luchini, alias il panettiere Martin: oltre alla sua bravura, sorge spontaneo il paragone con uno dei suoi ultimi film, Nella Casa di Ozon. Se, in quest’ultimo, egli rimaneva vittima di un deus ex machina che scaturiva dalla forza della scrittura, in Gemma Bovery è lui che tira i fili: malinconico voyeur, si infiltra nella vita di Gemma, dapprima attratto dalla donna, ma finendo quasi per considerarla con occhio paterno. Questo accade perché la giovane commette diversi sbagli, dettati però da una profonda insoddisfazione, non da una natura maligna. Sia Gemma che il marito Charlie sono dipinti come caricature dei tipici inglesi, giunti in Francia inseguendo le chimere di una vita bohémien (criticata più o meno velatamente nel film) che non sarà come si aspettavano, tra topi, buchi nel tetto e tradimenti. Si profila, dunque, uno scontro con la realtà ben più amaro del previsto.

Nonostante tali premesse, il confronto chiave tra Gemma e Martin sarà, forse, deludente per il pubblico: risulta poco intenso ed eccessivamente misurato, probabilmente perché la regista voleva riservare maggior climax nel finale, che comunque, da solo, vale l’intero film. Peccato, perché la scena della rivelazione aveva parecchio potenziale da esprimere. Un altro difetto riguarda il ritmo di alcune sequenze, articolato e poco naturale: si ha l’impressione di vedere vari episodi, non una narrazione continua e fluida. Forse questa pecca nasce dalla presenza di troppa carne al fuoco: ad un certo punto, il numero di uomini che gravitano intorno a Gemma è eccessivo, rendendo la trama non poco confusa.

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Malgrado le debolezze, il film rimane una gioia per gli occhi: la Normandia di fine estate, resa da una fotografia calda ed avvolgente, rende perfettamente quell’atmosfera erotica e languida che si vuole evocare. Di fatto Anne Fontaine, come già in alcuni dei suoi film, torna ad indagare l’ossessione e il desiderio: in Gemma Bovery queste forze dominano i personaggi, ma è la più beffarda delle fatalità a determinare il potente ed imprevedibile finale. Se di morale si può parlare, dunque, essa insegna a Martin, tanto affezionato ai suoi personaggi cartacei, che i veri cambiamenti non avvengono grazie allo scorrere di una penna sul foglio, bensì grazie a coincidenze fortuite. L’idea più penetrante emerge, però, da una sotto-trama astratta, relativa alla commistione tra letteratura, cinema e fumetti: nonostante la loro natura, emerge con prepotenza la tragica primarietà del caso, propria della vita reale.
Gemma Bovery sarà nelle nostre sale a partire dal 29 gennaio, distribuito da Officine UBU.

Giulia Sinceri

PRO CONTRO
  • È un esperimento originale e stimolante, dati l’origine fumettistica e il paragone con un libro sempre attuale.
  • La regista sa quando è giusto discostarsi dal libro, in modo da non intrappolare il film in schemi già noti.
  • Il finale vale l’intero film.
  • Il ritmo narrativo risulta poco naturale e forzato.
  • Il confronto tra i due protagonisti, che dovrebbe essere risolutivo, manca di forza e carattere.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Gemma Bovery, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

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