Giochi di Potere, la recensione

Il ventiquattrenne Michael Soussan, interpretato da Theo James, si fa professionalmente ed emotivamente coinvolgere dall’affascinante traduttrice curda Nashim (Belçim Bilgin). Lui è alla ricerca di un modo per mostrare al mondo la corruzione dilagante nel programma di aiuti umanitari delle Nazioni Unite all’Iraq di Saddam Hussein, denominato Oil-for-food, e confessa alla ragazza di aver accettato il lavoro nella no-profit semplicemente per aiutare le persone e cercare di fare la differenza. Sfortunatamente, dalla voce del protagonista non traspare mai una vera passione o un’umanità che lo possa rendere credibile, sciorinando lungo tutto il film battute monotone nel vero senso della parola.

Un normalissimo ragazzo con un marcato desiderio di servire il suo Paese è infatti l’oggetto principale del film di Per Fly, Giochi di Potere, un thriller dalle buone intenzioni ma estremamente noioso e propagandistico che cerca di fare leggermente qualcosa in più di una semplice esposizione dei fatti in ordine cronologico. Quello che infatti sembra essere l’unico obiettivo di Giochi di Potere è informare lo spettatore di uno scandalo finito nel dimenticatoio che a suo tempo incoraggiò gli Stati Uniti ad invadere l’Iraq. L’obiettivo è sicuramente nobile ma il modo in cui viene illustrato e sceneggiato, oltre ad essere troppo didascalico, risulta un piccolo compendio della storia recente con delle immagini stock. Al ritmo lento di dialoghi artificiosi, si succedono una serie infinita di conversazioni in uffici, hotel e vetture in cui sembra che gli attori non stiano tanto parlando tra di loro, quanto nemmeno troppo indirettamente al pubblico.

Il film, costruito sul libro pubblicato nel 2008 dal Michael Soussan in carne ed ossa, Backstabbing for Beginners: My Crash Course in International Diplomacy, esamina la complessità del programma Oil-for-food attraverso gli occhi dei protagonisti. Assistente speciale del sottosegretario Benon “Pasha” Sevan, ben interpretato da Ben Kingsley, l’ultimo arrivato diventa l’imperturbabile bussola morale del film non appena inizia a ficcare il naso negli anfratti più bui, scoprendo che funzionari ad ogni livello del programma e lo stesso governo iracheno ricevono percentuali e tangenti dirottando gran parte del denaro stanziato.

Nonostante vengano mostrati alcuni degli effetti su vasta scala delle storture di un programma dal valore complessivo di 10 miliardi di dollari, il film non riesce mai a trasmettere il senso della gravità della posta, soprattutto a causa di una costruzione dei personaggi che tende ad una vacuità disarmante.

Tolti alcuni brevi inserti che alludono all’influenza del padre di Michael, un diplomatico ucciso in un bombardamento a Beirut nel 1983, nella scelta della sua carriera lavorativa e all’intreccio sentimentale telefonato e fallito già in partenza tra il protagonista e Nashim, il film si configura come l’elenco puntato del trattamento del film in fase di pre-produzione. Sarebbe forse stato il caso di far confluire tutto il materiale a disposizione in una forma più adatta (vedi documentario), rendendo onore ad una storia che ha comunque la necessità di essere raccontata.

Ci troviamo così di fronte, dall’inizio alla fine del film, ad una banale traduzione in immagini piatte di un’autobiografia invece scottante e semi-sconosciuta: come se il regista avesse scelto di ricorrere ad un criterio estremamente letterale invece di rischiare ricorrendo a una traduzione magari più inesatta e meno accurata ma capace di trasmettere il vero senso dell’accaduto.

Andrea De Vinco

PRO CONTRO
  • Il mestiere di Kingsley e della Bisset.
  • La monotonia di Theo James.
  • L’inconsistenza della sceneggiatura
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Valutazione: 3.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Giochi di Potere, la recensione, 3.0 out of 10 based on 1 rating

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