Holy Spider, la recensione

Il cinema del Medio Oriente, negli ultimi anni, si sta contraddistinguendo in molti importanti Festival internazionali e nonostante la nota difficoltà che hanno molti autori nell’esprimere le proprie idee e la loro visione dell’arte, sempre più spesso ci troviamo dinnanzi opere dirompenti e coraggiose che ci raccontano come le cose possono e devono cambiare. A fautori della cultura che vengono accusati, condannati e reclusi ne corrispondono altri che riacquistano la libertà, poi ci sono coloro che cercano fortuna fuori dai confini nazionali, come l’iraniano Ali Abbasi che un film crudo, diretto e scabroso come Holy Spider davvero non avrebbe mai avuto modo di realizzarlo nella sua Terra d’origine.

Nato a Teheran ma naturalizzato danese, Abbasi si è già fatto conoscere nell’ambiente del cinema (di genere!) con il folle e bellissimo Border – Creature di confine, che nel 2018 ha vinto il premio Un Certain Regard al Festival di Cannes; ora il regista torna alla ribalta con un altro magnifico film (sempre di genere!), Holy Spider, che ha fatto guadagnare a Zahra Amir Ebrahimi il premio come miglior attrice al 75° Festival di Cannes.

La giornalista di Teheran Rahimi arriva a Mashhad per indagare sul caso di alcune donne brutalmente assassinate nell’arco di pochi giorni. Rahimi, però, trova un ambiente fortemente bigotto e ostile verso le donne, con la polizia poco incline a collaborare e il solo supporto del reporter locale Sharifi. Nel frattempo, gli omicidi proseguono e l’artefice, che la stampa ha battezzato con il nome di Ragno, è Saeed Hanaei, un amorevole padre di famiglia, operario in una ditta edile e veterano di guerra, che sta attuando una sua personale crociata contro le donne che si macchiano di peccato.

Zar Amir Ebrahimi

Holy Spider non ci va per il sottile, niente metafore, allegorie, ma un puro e crudissimo film di denuncia che utilizza il linguaggio del cinema di genere.

La storia di Saeed Hanaei e dei 16 femminicidi è vera, è accaduta a Mashhad nel 2001, così come è reale quello che è accaduto dopo la cattura dell’assassino e che occupa l’ultimo atto di Holy Spider, il momento paradossalmente più spaventoso di tutto. Ali Abbasi punta il dito verso una società piena di contraddizioni, contro un sistema corrotto che fa carte false per garantire – magari anche in maniera occulta – alcune ideologie retrograde e pericolose.

L’Iran contemporaneo raccontato in Holy Spider è molto più terrificante del concetto stesso di serial killer attorno a cui ruota il film perché il Ragno non è un semplice assassino ma un mostro creato dalla società e dalla lettura distorta di una certa cultura tradizionale. Il Ragno è un assassino ma è anche un eroe, è colui che punisce gli infedeli, che riporta ordine in un mondo corrotto e strappa la vita a chi non la merita.

Mehdi Bajestani

Saeed Hanaei, interpretato magistralmente da Mehdi Bajestani, è il classico uomo qualunque, il John Doe di fincheriana memoria, che ama la sua famiglia (e la plasma abilmente così come lui è stato plasmato da un ambiente pericolosamente integralista) e si comporta come cittadino modello fino a diventare un simbolo per il suo popolo, il simbolo di una ribellione morale verso i frutti stessi di millenni di repressione e strumentalizzazione, in primis della donna. E Holy Spider, infatti, punta doppiamente il dito verso una società che rinnega alle donne la loro libertà, l’emancipazione da una visione oscura e oscurante del loro ruolo.

La giornalista interpretata da una bravissima Zahra Amir Ebrahimi si batte costantemente per i suoi diritti negati, spesso anche in maniera provocatoria verso quel patriarcato cieco e così assurdo, ma è la “vittima tipo” del Ragno a rappresentare l’apoteosi di questa visione fortemente contraddittoria. Si tratta di prostitute, appartenenti alla classe più povera, che esistono proprio perché la stessa società, con questa visione volta alla repressione morale, le ha imposte come richiestissima merce, una richiesta occulta che però cozza con la stessa condotta morale. La classica polvere che viene nascosta sotto il tappeto, come quelli di tipica fattura persiana che Saeed utilizza per avvolgere le sue vittime e gettarle nei campi come spazzatura.

Ali Abbasi, anche autore della sceneggiatura insieme ad Afshin Kamran Bahrami, realizza un film fortemente politico ma allo stesso tempo mostra una grande padronanza del linguaggio del thriller, mettendo lo spettatore tanto nei panni di chi indaga quanto di chi delinque. Sicuramente le sessioni che riguardano Saeed sono quelle più efficaci e intriganti, con alcuni momenti di tensione davvero ben gestiti. Inoltre, Holy Spider presenta uno dei finali più cinici spietati e disturbanti che si siano visti in un film che non fa del sensazionalismo la sua cifra, un vero pugno nello stomaco che chiude l’opera con amarezza e delle immagini che difficilmente abbandoneranno lo spettatore a fine visione.

Intelligente nella scrittura, contraddistinto da alcuni momenti davvero molto crudi e con un ritmo sempre alto, Holy Spider è la sorpresa thriller della stagione cinematografica, un film sicuramente non adatto a tutti i palati ma preziosissimo e fuori dal comune.

Holy Spider arriva nei cinema italiani il 16 marzo distribuito da Academy Two.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Un film di denuncia che non ha paura di osare.
  • I momenti nei panni del killer sono davvero tesissimi.
  • L’ultimo atto è spaventoso e riesce perfino a far arrabbiare, fino a culminare con una finale potentissima e terrificante.
  • Il film punta il dito verso la società dell’Iran più integralista, quindi se appartenete a quel gruppo di benpensanti che si fa paladino delle cause perse (per sentito dire), probabilmente non amerete una visione così spietata dei fatti.
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