I Vichinghi, la recensione

C’è una tendenza nel cinema contemporaneo che va a prediligere storie ambientate nel passato e condite con toni da film action/avventurosi, preferibilmente con un uso massiccio di violenza. Che vadano a svilupparsi nell’antica Grecia, alla mercé di Dei e creature mitologiche, o all’epoca dell’Impero Romano con eroici gladiatori e viscidi imperatori, o che siano in epoca medievale o ancora in uno scenario fantastico che abbia comunque connotati realistici, la rinata moda per il film testosteronico in costume si arricchisce di un nuovo tassello I Vichinghi.

Come semplifica il titolo italiano, siamo nel IX secolo nel Nord Europa e facciamo la conoscenza di un manipolo di vichinghi in viaggio verso il Monastero di Lindisfarne, per saccheggiarlo. Ma una violenta tempesta fa naufragare la loro imbarcazione su un isolotto della Scozia, Alba, noto per la bellicosità dei suoi abitanti. Infatti il gruppo dei vichinghi, capitanato da Asbjorn, si scontra subito con un manipolo di villici e, avendo la meglio, rapisce Lady Inghean, figlia del Re Dunchaid. A questo punto, i vichinghi decidono di approfittare della situazione e chiedere un riscatto per la ragazza rapita, ma il Re non cede al ricatto e manda sulle tracce dei vichinghi un manipolo di mercenari guidati da Hjorr e suo fratello Bovarr, non sapendo che i due guerrieri stanno preparando un ammutinamento per deporre Re Dunchaid e appropriarsi del suo regno.

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Scrollandosi immediatamente di dosso ogni sentore di plausibilità storico-antropologica, I Vichinghi si presenta come un action avventuroso di quelli fieramente ignoranti e coatti al punto giusto da far passare un paio d’ore in allegria con la spina del cervello staccata. Immaginate un episodio di Il trono di spade meno complesso e più movimentato, o, ancora meglio, un lungo episodio clou della serie di History Channell Vikings, ma meno accorto nella messa in scena e nell’attinenza storica. Se giocate alla sottrazione ma all’aggiunta di ritmo e azione, viene fuori I Vichinghi, un’anomala co-produzione Germania-Svizzera-Sud Africa diretta dallo svizzero Claudio Fӓh, che abbiamo conosciuto per molti episodi di Ghost Whisperer e per L’uomo senza ombra 2, e scritto da Bastian Zach e Matthias Bauer.

Partendo dal presupposto che I Vichinghi vuole essere proprio quello che è, ovvero puro intrattenimento senza pretese, è forse nella sceneggiatura che va cercato il suo maggior difetto. Il film è allo stesso tempo complesso e fin troppo semplice, cioè, si nota che c’è un respiro narrativo molto ampio che prevede un prima (non raccontato) e un dopo (che forse arriverà in un sequel, se questo riscuoterà buon successo), ma tutto si concentra in poco più di 90 minuti di inseguimenti e risse, senza che emergano realmente le motivazioni che spingono i molti personaggi in scena, tutti troppo simili nell’aspetto e dalla quasi assoluta mancanza di caratterizzazione psicologica. Il protagonista, interpretato da un Ryan Kwanten agghindato proprio come il Thor di Chris Hemsworth, è il fulcro di una miriade di combattimenti dove chiunque può uscire di scena da un momento all’altro, senza che venga mai a crearsi empatia verso lo spettatore o affezione.vichinghi immagine 2

Però c’è da dire che il modo in cui i protagonisti sono presentati rappresenta una sterzata dalla monotonia con cui solitamente sono dipinti i vichinghi nelle produzioni cinematografiche recenti, così nettamente impostate nel porli come buoni o cattivi. Qui sono dei razziatori e tengono questa caratteristica fino alla fine, rozzi combattenti intenti solo a far fortuna, che questa provenga da un rapimento, un latrocinio, uno sciacallaggio o un omicidio. Questi anti-eroi si trovano a scontrarsi contro personaggi al loro livello morale, se non peggiore, dando così luogo a uno scontro cattivi vs. cattivi, dove l’unico personaggio realmente positivo appare la dolce ma combattiva Lady Inghean. Va da se che poi i vichinghi si leghino al fil-rouge che li porta ad essere i personaggi positivi della vicenda, ma di fatto, realisticamente, non lo sarebbero.

Ottimi gli scontri corpo a corpo che rappresentano il piatto forte dell’opera, ben condotti da Claudio Fӓh e coreografati col senso dello spettacolo, senza trascurare una sana violenza visiva che in più occasioni si tinge di gore, come ci hanno insegnato proprio le recenti produzioni televisive a cui, chiaramente, I Vichinghi si rifà.

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Il titolo originale recita Northmen: A Viking Saga, suggerendo un universo più ampio che – vi assicuriamo – non è di derivazione letteraria ma lascia aperti spiragli narrativi a ulteriori capitoli.

Vista l’azione bruta e la presenza nel cast del cantante degli Amon Amarth Johan Hegg, I Vichinghi non poteva che avere uno score musicale metal che, nei momenti cruciali e nei titoli di coda, non può che spingere lo spettatore a muovere violentemente e ritmicamente la testa su e giù.

Roberto Giacomelli 

PRO CONTRO
  • Ottima azione.
  • Scontri corpo a corpo ben coreografati e giustamente violenti.
  • Sceneggiatura povera.
  • Caratterizzazione dei personaggi inesistente.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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I Vichinghi, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

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