Il Cattivo Poeta, la recensione

1936. Il bresciano Giovanni Comini è stato appena eletto federale. Giovanissimo e ancora inesperto, zelante nei confronti del Partito Fascista che in quel periodo si prepara a compiere una vera ascesa nella politica internazionale. Una mattina come tante, Comini riceve una chiamata importantissima. Dall’altra parte del telefono c’è Achille Starace, segretario del Partito Fascista e numero due del regime. Starace convoca a Roma il giovane federale per affidargli una missione di estrema delicatezza: Comini deve recarsi immediatamente a Gardone Riviera, sulla sponda del Lago di Garda, ed insediarsi all’interno del Vittoriale per sorvegliare da molto vicino Gabriele d’Annunzio, il poeta Vate.

In un momento storico delicato per il Partito Fascista, vista l’imminente alleanza con la Germania Nazista di Hitler, Mussolini e Starace pensano bene che il carismatico poeta auto-esiliatosi al Vittoriale possa compiere dei colpi di testa per nuocere l’avanzata politica del Partito. Perché in quel periodo sono note a tutti le avversità tra il Poeta e la Germania del Führer. Messo in una scomoda condizione di spia, a Comini non resta altro da fare che entrare nella “corte” di Gabriele d’Annunzio per vigilare sul poeta e riferire al Partito ogni sua intenzione.

Dopo un 2020 messo duramente in ginocchio dalla piaga del covid19, una piaga i cui effetti si sono inevitabilmente protratti anche per buona parte del 2021, inizia timidamente a farsi respirare una scalciante voglia di ricominciare. Ne è un segno la riapertura delle sale cinematografiche con conseguente inizio di una nuova e vera programmazione, la nascita dell’hashtag #soloalcinema per sostenere la riapertura delle sale con film destinati (fortunatamente) alla sola fruizione sul grande schermo, e il “recupero” di tutti quei film che dovevano uscire quando il secondo lockdown di ottobre ha dato il colpo di grazia.

Previsto inizialmente per lo scorso 5 novembre, esce oggi 20 maggio (dunque con un ritardo di più di sei mesi) Il Cattivo Poeta, l’anomalo biopic su Gabriele d’Annunzio interpretato da un titanico Sergio Castellitto che porta in scena una delle sue interpretazioni più convincenti di sempre.

Diretto dall’esordiente Gianluca Jodice (lo possiamo ricordare per aver diretto alcune puntate della serie Sky 1992) e prodotto dalla Ascent Film dell’ormai inarrestabile Matteo Rovere, Il Cattivo Poeta si inserisce in questa nuova tendenza del cinema italiano di voler realizzare biopic incentrati su personaggi scomodi e controversi della Nostra Storia.

Nell’arco di pochissimo tempo abbiamo avuto l’interessante biopic su Bettino Craxi, Hammamet di Gianni Amelio (con il quale il film di Jodice condivide molto, raccontando gli ultimi mesi di un personaggio in esilio), poi è arrivato Volevo nascondermi di Giorgio Diritti, film pluripremiato e incentrato sul pittore Antonio Ligabue e sul suo pesante disagio culturale e comportamentale. Adesso è la volta di Gabriele d’Annunzio, poeta, scrittore, intellettuale, militare, politico e patriota italiano. Soprannominato “il Vate” (cioè, “poeta sacro, profeta”), d’Annunzio raggiunse l’apice di edificazione del proprio mito personale e politico nel 1919, quando guidò una spedizione di legionari per occupare la città di Fiume, città che non venne assegnata all’Italia dalle potenze alleate vincitrici della Prima Guerra Mondiale. Dopo l’occupazione, d’Annunzio varò una costituzione provvisoria che prevedeva – tra le tante cose – diritti per i lavoratori, pensioni di invalidità, suffragio universale maschile e femminile, libertà di opinione, religione e orientamento sessuale, depenalizzazione dell’omosessualità, del nudismo e uso legale delle droghe.

Una vera e propria figura di rilievo quella di d’Annunzio ma al tempo stesso terribilmente controversa e contraddittoria, un personaggio che molti storici faticano ancora ad inquadrare perfettamente. Soprattutto nel suo rapporto con il fascismo.

Il Partito, infatti, ha sempre celebrato il Vate e visto in lui un precursore politico e letterario. Ma d’Annunzio, pur avendo inizialmente aderito ai Fasci italiani di combattimento, non prese mai la tessera del Partito per rimanere autonomo fino alla fine. Quando l’Italia diede inizio all’alleanza con la Germania di Hitler, il Vate – ormai auto-esiliatosi nel Vittoriale, la sua enorme villa sul Lago di Garda – si scagliò contro la politica di Mussolini pur continuando a ricevere dallo Stato italiano benefici su benefici come i numerosi finanziamenti per strutturare e ristrutturare la sua “prigione-scrigno” (come viene detto da Starace in una scena del film “Gabriele d’Annunzio è come un dente cariato: o si estirpa o si ricopre d’oro”).

Una figura in bilico, quella di Gabriele d’Annunzio, ancora oggi amata ed odiata da molti (basti pensare all’atto di vandalismo che ha ricevuto solo pochi giorni fa la statua a lui dedicata e sita a Piazza della Borsa a Trieste). Un intellettuale divenuto militare, un militare divenuto politico, un politico divenuto idealista, un idealista temuto dallo Stato.

Un personaggio denso, contorto, ancorato al nostro passato eppure dannatamente moderno, difficile se non impossibile da raccontare e da sintetizzare in un film di due ore. Ci prova Gianluca Jodice che, supportato dall’astuta produzione di Rovere, trova la strada migliore per raccontare questo “Cattivo Poeta”: collocarlo all’interno di un biopic che biopic non è.

Il Cattivo Poeta non racconta la vita di Gabriele d’Annunzio e il suo non è nemmeno il punto di vista sulla vicenda. Il film sposa lo sguardo del giovane federale bresciano Giovanni Comini (interpretato da un bravo Francesco Patanè), fresco di arruolamento nel Fascismo ma destinato a riflettere sui valori del suo Partito dopo la conoscenza di d’Annunzio. Comini vive al fianco di un d’Annunzio ormai anziano, indebolito e sempre più amareggiato dalla sua Italia e dalle scelte politiche del Fascismo, un d’Annunzio che sarebbe morto di lì a breve ma senza rinunciare mai a piaceri a lui cari come quelli legati al sesso libero e alle droghe.

Attraverso un meccanismo in perfetto stile da spy-story, ma basandosi costantemente su accadimenti reali e documentati,  Il Cattivo Poeta ci racconta l’ultimo anno di vita del Vate tra illusioni e speranze, glorie passate e un presente/futuro buio, il tutto all’interno di quella “prigione domestica” che è il Vittoriale degli italiani.

Un’operazione davvero interessante, quella condotta da Jodice, che tuttavia finisce per convincere più per l’intento che per la sua esecuzione. Ciò che ne Il Cattivo Poeta funziona meno, e questo è un problema che attanaglia buona parte dei film storici prodotti in Italia, è la messa in scena e i tempi narrativi. Nonostante le bellissime scenografie (il film è girato davvero all’interno del Vittoriale) e la cura fotografica apportata da Daniele Ciprì, con un’immagine che in alcuni punti sembra tendere al bianco e nero (e con una color correction decisamente troppo pesante!), l’estetica del film ci ricorda da vicino quella di molta fiction di stampo Rai. E alla stessa maniera anche i tempi narrativi, estremamente dritti e a volte troppo dilatati.

Si avverte, inoltre, una leggera indecisione sui toni del film e in modo specifico sulla delineazione dei caratteri dei personaggi. Se Gabriele d’Annunzio e Giovanni Comini sono delineati in modo estremamente umano, convincono nelle loro sfumature caratteriali e nelle loro fragilità, entrambi posti davanti a delle certezze che si stanno sgretolando inesorabilmente, dall’altra parte si evince un certo macchiettismo nel racconto dei “personaggi” secondari. In modo particolare ci riferiamo a Benito Mussolini e Achille Starace, due “personaggi” portati in scena con una tendenza ad andare sopra le righe. Soprattutto il Duce, che fortunatamente è poco presente e confinato sempre sullo sfondo, sempre impettito in modo comico e dalle movenze poco diverse da quelle di un piccione nella stagione dell’accoppiamento.

In definitiva Il Cattivo Poeta è un film che convince ma non entusiasma. Porta in scena uno spaccato storico di indubbio interesse e fascino e lo fa con delle intuizioni narrative interessanti ma non sviluppate a dovere. Inoltre – e questa è la più grande perplessità – contribuisce a mostrare i limiti di un genere (lo storico/biografico) che in Italia sembra essere ancora ad appannaggio di certa fiction, anche quando gestito da menti giovani e brillanti come quella di Rovere.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • Un biopic che ha il retrogusto della spy-story
  • Sergio Castellitto porta in scena un Gabriele d’Annunzio estremamente convincente.
  • Francesco Patanè è una rivelazione.
  • Nella messa in scena e nei tempi narrativi, ricorda certa fiction italiana.
  • Alcuni personaggi secondi scivolano violentemente nella macchietta (il Duce su tutti).
  • La fotografia di Daniele Ciprì è troppo pesante ed artefatta.
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