Il nemico invisibile, la recensione

Dopo il dimenticabile The Canyons, Paul Schrader torna alla regia di un thriller con protagonista Nicolas Cage nei panni dell’agente CIA Evan Lake. Il nemico invisibile racconta la disperata caccia al terrorista di quest’ultimo, al quale è stato appena diagnosticato un grave disturbo cognitivo. Evan, tuttavia, è determinato a rintracciare Muhammad Banir (Alexander Karim): il jihadista che, vent’anni prima, lo torturò togliendogli definitivamente qualsiasi possibilità di far carriera all’interno della CIA.

Al suo fianco è rimasto solo il giovane Milton Schultz (Anton Yelchin), grazie al quale l’attempato Lake scoprirà degli indizi che li condurranno entrambi in Romania. Ad attenderli a Bucarest troveranno Michelle (Iréne Jacob), antico amore di Evan, a sua volta determinata ad aiutarlo nella sua corsa contro il tempo.
Schrader, scegliendo di rientrare nei ranghi dei dettami di genere, compie un’operazione meno rischiosa ma certamente anche meno incisiva – nel bene e nel male – rispetto al chiacchieratissimo The Canyons. Nemmeno la denuncia di fondo nei confronti del contesto sociale, che permea l’intera vicenda e fu il principale motore d’ispirazione del cineasta, scuote la pellicola dalla propria vocazione palesemente commerciale.

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Malgrado il personaggio di Nicolas Cage, idealista disilluso, sia interessante sotto più di un aspetto e la performance del Premio Oscar sia assolutamente dignitosa, la scarsa presa della vicenda finisce per penalizzare anche l’appeal del protagonista e l’eventuale empatia tra questi e lo spettatore. Il nemico invisibile, purtroppo, si limita infatti a non essere nulla più che la solita carrellata di tematiche trite – quali la dicotomia tra tradimento e integrità – trattate, per di più, in maniera blanda e priva di grinta. Anche volendo concedersi un’ora e mezzo abbondante di intrattenimento fine a se stesso si andrebbe incontro a una parziale delusione.

Prima che a un film d’azione, infatti, siamo al cospetto di una sceneggiatura che punta piuttosto sulla forza dei dialoghi. Fiumi di parole che, ahinoi, più che appassionare e spronare alla riflessione, tendono a cullare in un annoiato torpore.
Tale operazione potrebbe forse acquisire una qualche attrattiva alla luce della lettura che vedrebbe nella vicenda di Lake una metafora dell’esperienza artistica di Schrader, che di rado ha avuto l’occasione perseguire le proprie velleità con la macchina da presa. Una simile chiave interpretativa assolverebbe parzialmente Il nemico invisibile da alcune delle critiche mosse poco sopra, dissipando qualche astrusità nell’interpretazione complessiva della valenza dell’intreccio.

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Il messaggio di tenacia e speranza nel futuro veicolato dal monologo finale, allora, può esser considerato in linea con il punto di vista che abbiamo sposato.
Complessivamente, l’ultima fatica di Schrader è un’occasione mancata tanto per intrattenere che per trasmettere significativi spunti di riflessione, fallendo proprio a causa della mancanza di un orientamento deciso e preciso.

E così, la storia di una disperata caccia all’uomo, sul drammatico sfondo contestuale del post-11 settembre, sancisce piuttosto il trionfo dell’indecisione.
L’interpretazione autobiografica accresce senz’altro lo spessore di un’opera altrimenti senza infamia e senza lode, ma di certo non ne risolleva le sorti.
Il nemico invisibile, di cui Nicholas Winding Refn è produttore esecutivo, è in sala dal 9 luglio, distribuito da Barter Multimedia.

Chiara Carnà

PRO CONTRO
  • La buona performance di Nicolas Cage.
  • La mancanza di una decisa identità penalizza l’efficacia del prodotto.
  • Intrattiene solo a tratti e coinvolge a stento.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Il nemico invisibile, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

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