Il viaggio di Arlo, la recensione

In  un passato immaginario in cui i dinosauri non si sono estinti, la Terra è dominata da queste enormi creature che si sono organizzate e hanno improntato la loro quotidianità sull’arte della sussistenza. Henry e Ida sono una coppia di Apatosauri che hanno deciso di coltivare granturco in una fattoria e che ora stanno per diventare genitori per la prima volta. Nascono Buck, Libby e Arlo, tre cuccioli volenterosi che cercano sin da subito di seguire i preziosi consigli dei genitori. Mentre Buck e Libby apprendono facilmente, il giovane Arlo è costantemente in difficoltà a causa della sua smisurata paura d’ogni cosa. Un giorno Henry decide di portare suo figlio Arlo nel bosco per fargli vincere le paure ma a seguito di un drammatico incidente il giovane Arlo perde suo padre. Giorni dopo, ancora afflitto per la perdita del genitore, Arlo cade accidentalmente in un fiume e dopo aver sbattuto la testa contro una roccia si risveglia lontano da casa. Smarrito e impaurito, Arlo cerca disperatamente la strada per tornare a casa e durante il tragitto si unirà a lui Spot, un giovanissimo uomo delle caverne.

I dinosauri non sono certo Attori nuovi in casa Disney. Era dicembre del 2000 quando nei cinema italiani arrivò il serioso Dinosauri, un film della Walt Disney Feature Animation che fu accolto molto tiepidamente da pubblico e critica e che stupì più per la magnificenza visiva che per la storia in sé. A quindici anni di distanza la Pixar Animation Studios ci riprova e rigioca la carta “dinosauri” con un racconto avventuroso classico, un tipico percorso di formazione giovanile che erige le proprie fondamenta sull’archetipica struttura del Viaggio dell’Eroe rispettandone, in modo piuttosto meccanico, tutte le tappe obbligatorie: l’autorealizzazione, l’individuazione e l’illuminazione.

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Ma la Pixar decide di abbandonare quella seriosità che aveva contraddistinto, e compromesso, il film del 2000 in favore di un linguaggio più colorato e ludico che possa godere di un maggiore appeal agli occhi dei più piccoli. Sin dai suoi esordi nel 1995 con Toy Story, la Pixar ha dimostrato di avere una mission piuttosto chiara e ci ha abituati ad un linguaggio inconsueto per il cinema d’animazione dimostrando che il cartone animato può essere benissimo uno spettacolo capace di parlare non solo ai bambini, ma anche ai grandi. Prodotti maturi in grado di coniugare l’artisticità del mezzo a contenuti dall’elevato valore formativo e che hanno raggiunto la massima perfezione nei due capolavori Wall-E e Inside Out. A questo proposito, vedendo Il viaggio di Arlo si avverte uno strano amaro in bocca perché si ha la continua sensazione di assistere ad uno spettacolino in cui qualcosa è andato clamorosamente storto. Un bel passo indietro per quelli della Pixar che ci propongono, dopo averci incantato e commosso con Inside Out, un banalissimo film d’animazione che non ha nulla di quella complessità e ricercatezza artistica che da sempre ha contraddistinto l’azienda.

L’idea di ambientare la vicenda in un passato alternativo, in cui i dinosauri non si sono estinti perché quel famoso asteroide ha mancato il Pianeta per un pelo, è indubbiamente vincente. Peccato che non lo sia altrettanto la narrazione, che oltre ad avanzare in maniera fin troppo scontata attraverso espedienti di sceneggiatura esageratamente facili, sembra voler riciclare situazioni e dinamiche di molti film passati della Disney, uno su tutti Il Re Leone che viene clamorosamente omaggiato/saccheggiato in almeno un paio di sequenze tra Arlo e suo padre Henry, riproposte tali e quali con l’unica variante che adesso a parlare sono degli apatosauri anziché i leoni.

Buffo a dirsi ma l’elemento che maggiormente stona nel film sono proprio i dinosauri, realizzati con un design poco accattivante che mal si sposa con la perfezione degli scenari naturali, che nell’idea di umanizzarli solo negli atteggiamenti rendendoli coltivatori di mais o allevatori di bestiame sortisce un effetto davvero poco coinvolgente e incapace di offrire un reale trasporto nella storia.

Ulteriore conferma della poca efficacia dei dinosauri ci viene fornita nel momento in cui entra in scena Spot, l’adorabile cucciolo di uomo dagli atteggiamenti canini che, pur essendo relegato alla funzione di spalla, rappresenta la vera essenza del film nonché unico elemento di forza e le scene che lo vedono protagonista sanno essere tanto divertenti quanto emozionanti. Un vero peccato che negli studi Pixar non abbiano avuto l’idea di rendere Spot il solo protagonista della vicenda, raccontandoci (anche senza il ricorso ai dialoghi, un po’ come accaduto in Wall-E) la sua avventura e non quella dell’antipatico Arlo.

Un passo falso per la Pixar che realizza un film minore sotto tutti i punti di vista. Non mancano, ovviamente, sequenze visivamente affascinanti e belle se estrapolate dalla narrazione generale (una su tutte la scena con il prato di lucciole), ma nel complesso e nella tipologia di ironia a cui si fa ricorso, Il viaggio di Arlo appare più in sintonia alle produzioni animate della Blue Sky Studios (L’era glaciale, Rio) o della DreamWorks Animation (Madagascar, I Croods).

Giuliano Giacomelli

Pro Contro
  • Il piccolo Spot. Personaggio irresistibile che avrebbe meritato il film tutto per sé.
  • Alcune sequenze sono visivamente molto belle.
  • L’incipit di partenza è simpatico e funziona.
  • I dinosauri sono resi male e non funzionano.
  • Una narrazione troppo classica che avanza senza fantasia attraverso espedienti di sceneggiatura, a volte, davvero troppo facili.
  • Eccessive le similitudini con Il Re Leone.
  • Nell’ironia e nella caratterizzazione dei personaggi, sembra un prodotto che vuole emulare altre aziende d’animazione.
  • Dov’è finita la tipica artisticità dei prodotti Pixar?
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