In Trance, la recensione

Simon lavora in una casa d’aste, dove preziosissime opera d’arte sono sotto i suoi occhi quotidianamente. Deciso a dare una svolta alla sua vita, l’uomo decide di aiutare una gag criminale a trafugare un dipinto di Goya, Streghe in aria, ma la sfortuna vuole che durante il colpo Simon venga colpito alla testa, il che gli provoca la perdita dei sensi, il ricovero in ospedale e una piccola perdita della memoria… però piccola in modo sufficiente da non fargli più ricordare dove ha nascosto il dipinto rubato. Convinto che voglia imbrogliarlo, il capobanda Franck tortura Simon, ma quando si rende conto che l’uomo davvero ha perso la memoria, lo costringe ad andare in terapia dalla dottoressa Elizabeth Lamb per farsi ipnotizzare e cercare così di carpire la preziosa informazione. Ma nel momento in cui la dottoressa Lamb comincia le sedute ipnotiche i ricordi di Simon cominciano a intrecciarsi, così come il confine tra realtà e immaginato.

Danny Boyle torna a colpire con un film che parla di alterazione mentale, anche se questa volta non si tratta dell’azione di droghe sintetiche come in Trainspotting ne degli influssi psico-percettivi dell’atmosfera spaziale come accadeva in Sunshine, bensì degli intricati trabocchetti di cui la stessa mente umana può riempirsi. Trappole auto-indotte come forma di difesa o complesse scatole cinesi costruite ad arte per “far dimenticare”.

Per In Trance Boyle si serve della sceneggiatura di John Hodge (che per lui ha scritto anche Piccoli omicidi tra amici, Trainspotting, Una vita esagerata e The Beach) per rielaborare il soggetto di Trance, un tv-movie inglese del 2001 di cui Boyle realizza praticamente un remake. Ma lo stile del regista di 127 ore si nota tutto, la sua verve visiva trasuda da ogni fotogramma e così quello che è un viaggio nella mente di uno smemorato si trasforma in un trip psicologico e visivo. I colori accesi, prevalentemente caldi, quasi acidi, della fotografia curata da Anthony Dod Mantle fanno parte del gioco e sprofondano progressivamente verso il delirio totale, che ad un passo dal finale si colorisce di visioni cronenberghiane dallo spiccato piglio splatter.

In Trance, a conti fatti, è come un gioco, un rompicapo, una sorta di cubo di Rubik che si chiede allo spettatore di risolvere prima che l’ora e cinquanta circa di durata sia terminata. E malgrado alcuni colpi di scena spingano il pedale sull’improbabilità, il meccanismo funziona, ogni tassello del mosaico combacia perfettamente e lo spettatore che con ogni probabilità lancerà un’invettiva contro gli snodi meno verosimili della sceneggiatura (soprattutto riguardo il comportamento di qualche personaggio), si ritroverà comunque con un sorrisetto compiaciuto sulla faccia.

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In un puzzle che intrattiene e diverte grazie al grado di complessità che tiene alta l’attenzione, si trova comunque una falla evitabile nella scelta di inserire un triangolo amoroso tra i protagonisti, poco agile e funzionale, quasi gettato dentro per allungare il brodo.

Gran lavoro attoriale con ottima sinergia tra gli interpreti e se il James McAvoy di Wanted e X-Men: L’inizio funziona bene e il luciferino Vincent Cassel dove lo metti da sempre il meglio, è Rosario Dawson a primeggiare con un’interpretazione impeccabile che ci ricorda quanto sia colpevolmente poco utilizzata dal cinema mainstream.

Come al solito per i film di Boyle, la musica ha un’importanza primaria e dona un fascino particolare all’intero film.

Non tra le cose migliori di questo regista ma comunque notevole.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Visivamente affascinante
  • Storia intricata e coinvolgente
  • Rosario Dawson si lascerà ricordare a lungo
  • Svolte di sceneggiatura poco verosimili
  • A tratti narrativamente troppo diluito
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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In Trance, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

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