Into the Dark: Il ballo della purezza, la recensione

Dodicesimo ed ultimo appuntamento con Into the Dark, la serie antologica targata Blumhouse destinata al circuito televisivo, recentemente distribuita in Italia da RaiPlay. Una serie di lungometraggi slegati tra loro, dodici (a stagione) come i mesi dell’anno, il cui unico punto in comune è quello di svolgersi durante una festività.

Giunti ormai alla fine di questo viaggio tra le varie festività dell’anno, pagane e religiose, il cui traghettatore ideale è Jason Blum, è possibile stilare un bilancio di questa serie tv targata BlumHouse. Un insieme di episodi slegati fra loro la cui qualità media, caratterizzata da un fisiologico alternarsi di luci ed ombre, può ritenersi comunque soddisfacente e figlia di quella che è la ormai nota politica della casa di produzione più florida del panorama horror contemporaneo: giovani registi emergenti dalle buone idee da sviluppare attraverso un budget striminzito a disposizione.

A chiudere il cerchio di questa interessante progetto ci pensa un’altra regista in cerca dell’occasione giusta per sbarcare il lunario, Hannah Macpherson la quale, immersa nella sua attività di montatrice e sceneggiatrice, cerca di imporsi anche come regista attraverso questo episodio, dal titolo Il ballo della purezza (Pure), il cui esito è senza dubbio positivo sia dal punto di vista stilistico che narrativo. Il merito di questo risultato è di una storia originale nella quale la regista statunitense prende come spunto il sottogenere delle possessioni per offrire una riflessione e un affresco della condizione della donna e di come questa venga vista da alcune sette religiose d’oltreoceano. Il tutto per omaggiare il “father-daughter day”, ricorrenza tutta americana nelle quale viene rinsaldato il legame tra padre e figlia.

la danza della purezza

Un gruppo di ragazze si riunisce per festeggiare la festa della figlia, una festività che esalta la purezza della donna celebrata da una setta religiosa. Le adolescenti, tra le quali vi è Shay la quale da poco ha conosciuto il suo vero padre, però organizzano un rituale per evocare Lilith, un antico demone femminile in netto contrasto con i valori della festa in questione. È l’inizio di una serie di eventi funesti che vedrà come protagonista involontaria proprio la giovane Shay.

Confrontarsi con un filone molto inflazionato, come quello sui demoni e le possessioni, cercando di non risultare stereotipati e scontati, è divenuta un’impresa assai ardua e rischiosa per qualsiasi regista, anche il più esperto. Macpherson, tuttavia, non si lascia intimorire e mostra grande personalità nel trattare un tema molto delicato e attuale, come la condizione della donna e il suo rapporto con la purezza sessuale, legandolo ad uno dei demoni più intriganti e misteriosi della storia delle religioni: Lilith. Quest’ultima, infatti, presente nell’immaginario religioso a partire dalla cultura della Mesopotamia, può essere considerata la primissima paladina dell’emancipazione femminile. Seguendo questo input proveniente dalle sacre scritture, la sceneggiatura, scritta dalla stessa regista, delinea al meglio il contrasto tra le rigide norme e dogmi della setta religiosa e la voglia di libertà delle giovani donne, costrette a sottoporsi ad un rituale delle quali non sono convinte e nel quale non credono pienamente.

la danza della purezza

Operazione che riesce più che discretamente in quanto queste emozioni e sensazioni delle protagoniste vengono trasmesse allo spettatore grazie a dialoghi ben calibrati, una caratterizzazione dei personaggi mai sopra le righe ed efficace al punto giusto e un intreccio dai ritmi vivaci e costanti, cosa che tiene viva l’attenzione di chi guarda.

Altre note liete provengono da una regia molto attenta e curata che predilige sequenze di tensione nelle quali si ritrovano, nelle dosi giuste, sbalzi sonori, apparizioni improvvise e atmosfere chiaroscurali che rendono da questo punto di vista Il ballo della purezza l’episodio della serie più vicino al modello cinematografico dell’universo BlumHouse. Da evidenziare come il make-up di Lilith sia in linea con la natura mefistofelica, ambigua e diabolica di un demone la cui bellezza angelica fa a cazzotti con uno spirito in cerca di vendetta dopo la discesa negli Inferi per mano di Dio.

il ballo della purezza

Qualche battuta a vuoto, tuttavia, la si ravvisa in un finale in cui Macpherson avrebbe potuto osare di più sia in termini narrativi con alcuni aspetti della storia risolti in maniera troppo sbrigativa, sia per quanto riguarda il comparto visivo con immagini la cui potenza sembra avere il freno a mano tirato.

Al netto di tutto ciò, in conclusione, Il ballo della purezza conclude con qualità e gusto una serie televisiva di certo non destinata a passare alla storia, ma comunque meritevole e consigliata.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • Il filone sulle possessioni messo al servizio di una tematica molto attuale.
  • Il plot descrive al meglio le emozioni delle protagoniste e ha un ritmo vivace.
  • Buone scene di tensione girate con cura.
  • Il finale è troppo sbrigativo e con immagine poco potenti ed evocative.
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Valutazione: 6.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Into the Dark: Il ballo della purezza, la recensione, 6.5 out of 10 based on 2 ratings

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