Judas and the Black Messiah, la recensione

Judas and the Black Messiah

Il tema razziale negli Stati Uniti del terzo millennio è cruciale. In un’epoca in cui le discriminazioni in base alla razza o al sesso dovrebbero essere ormai il ricordo del passato, appaiono invece più attuali che mai al punto tale che le arti si sono ormai consolidate come veicolo primario per denunciare determinate problematiche, far sentire a più persone possibili la voce di intere comunità che sono state e sono tutt’ora vittime di una mentalità vetusta, cancerogena, debilitante. Tra le arti elette a testimoniare questa visione delle cose il cinema è quella che arriva in maniera più diretta e, di conseguenza, non si contano più i film che affrontano la tematica della “razza” partendo soprattutto dalla Storia, da episodi reali che hanno inciso in maniera particolare nel retaggio culturale di un popolo, di una comunità. Tra i titoli candidati ai Premi Oscar 2021 troviamo diversi film che affrontano questi argomenti utilizzando storie vere, come accade in Judas and the Black Messiah, secondo lungometraggio del newyorkese Shaka King, film candidato a 6 Premi Oscar e già vincitore di un Golden Globe.

Judas and the Black Messiah racconta la vera storia di Fred Hampton, leader delle Pantere Nere di Chicago sul finire degli anni ’60, e di William O’Neal, che si infiltrò tra le Pantere per conto dell’FBI guadagnando la fiducia di Fred fino a diventare capo della sicurezza del partito.

judas and the black messiah

Come lo stesso titolo lascia intendere senza fraintendimenti, Shaka King e il co-sceneggiatore Will Berson hanno voluto raccontare l’ascesa del partito delle Pantere Nere attraverso la metafora cristologica di uno dei loro leader, quel Fred Hampton che ha raccolto proseliti in ogni parte della città, ha aizzato contro i “porci” le folle di afroamericani pieni di rabbia, si è fatto simbolo di un movimento culturale, di un pensiero condiviso e poi è stato immolato per la causa diventando un’icona, una motivazione ancora più forte per i suoi fratelli a combattere in un guerra razziale tanto assurda quanto necessaria. E come la Bibbia insegna, accanto ad ogni Messia c’è un Giuda pronto a tradirlo, a tradire la sua gente, gli ideali in cui dovrebbe credere e in cui, probabilmente, crede ma li sottopone al vile denaro.

Il racconto di Shaka King è semplice, lineare, privo di sbavature.

Judas and the Black Messiah

Fin troppo semplice e lineare nel raccontare una biografia in cui ogni personaggio non esce mai dalla posizione per lui predefinita. Un lavoro di scrittura così minimal che finisce per essere il più grande difetto per un film che avrebbe potuto ambire a una portata emotiva ben più ampia e un racconto maggiormente complesso, stando al fascino che la storia a cui si ispira possiede.

Seguiamo in parallelo le vite di William, detto Bill, e Fred: il primo è un ladruncolo di automobili che viene spedito dall’agente Mitchell dell’FBI sotto copertura nel “covo” delle Black Panthers per sabotarlo dall’interno e prevenire le loro azioni terroristiche; il secondo è un uomo dedito alla causa, alla sua fede politica, ai limiti della maniacalità. Se il film concede uno sguardo abbastanza avvolgente su Fred Hampton, interpretato con convinzione dal Daniel Kaluuya di Get Out – Scappa, non riesce a fare altrettanto su William O’Neal, che ha lo sguardo sofferto di Lakeith Stanfield (Cena con delitto – Knives Out), personaggio monodimensionale per il buon 90% del film, nonostante sia l’occhio sulla vicenda, che riesce a trovare una dimensione tormentata solo nell’ultima fase, quando la finzione si allaccia alla realtà, attraverso le parole del vero O’Neal riportate attraverso materiale di repertorio e didascalie esplicative.

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Però la stessa problematica di una certa superficialità nella descrizione dei personaggi si riscontra anche negli altri comprimari, nell’agente dell’FBI interpretato da Jesse Plemons, e nella compagna di Hampton che ha il volto incredibilmente espressivo di Dominique Fishback. Judas and the Black Messiah accoglie una panoramica su Hampton e non riesce ad andare oltre, ma così facendo va a mancare di forza empatica, di coinvolgimento emotivo, rischiando di finire presto nel dimenticatoio.

Molto bella la fotografia di Sean Bobbitt, soprattutto per le scene in notturna, ben riuscito il trucco su Martin Sheen, che è irriconoscibile sotto la maschera di J. Edgar Hoover, ma nel complesso Judas and the Black Messiah non incide più di tanto, intrappolato in molta retorica e poca attenzione all’impianto emozionale della vicenda.

Judas and the Black Messiah

Judas and the Black Messiah è disponibile dal 9 Aprile in esclusiva digitale l’acquisto e il noleggio premium su Apple Tv app, Amazon Prime Video, Youtube, Google Play, TIMVISION, Chili, Rakuten TV, PlayStation Store, Microsoft Film & TV e per il noleggio premium su Sky Primafila e Infinity.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Una bella fotografia e un’ottima ricostruzione storica.
  • La storia vera raccontata è interessante.
  • Manca di coinvolgimento emozionale.
  • I personaggi sono poco caratterizzati.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Judas and the Black Messiah, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

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