Jukai – La foresta dei suicidi, la recensione

Esistono luoghi capaci di emanare un tale fascino da riuscire ad ispirare film, romanzi e quant’altro con la sola forza delle suggestioni che vi aleggiano. Un caso emblematico è rappresentato da Aokigahara, una foresta situata ai piedi del monte Fuji in Giappone, conosciuta dai locali anche con il nome di Jukai (letteralmente mare di alberi) e a livello internazionale con l’appellativo “foresta dei suicidi”. Eh già, perché al di là della verdissima distesa di alberi, che vista dall’altro appare, appunto, come un mare, Jukai è un luogo di morte, scelto da centinaia di persone all’anno per togliersi la vita. Una tendenza che va ormai avanti da secoli e che ultimamente sta crescendo, tanto che si parla di ben 247 tentativi di suicidio nel solo 2010.

È impensabile che il cinema non traesse ispirazione da questo posto misterioso e metafisico e infatti spesso Jukai è stata cornice di storie drammatiche ma anche paurose. Se la strada del dramma è stata percorsa recentemente da Gus Van Sant con La foresta dei sogni, l’horror ha a più riprese ambientato macabre storie nella foresta dei suicidi, come è accaduto nel 2007 con Forest of Death dello specialista Danny Pang, nel 2011 con Grave Halloween di Steven R. Monroe e come accade oggi con The Forest di Jason Zada, che in Italia prende il titolo di Jukai – La foresta dei suicidi.

L’americana Sara si reca in Giappone per cercare sua sorella gemella Jess, che lì lavora come insegnante, dal momento che si sono perse le sue tracce dopo un’escursione nella foresta di Jukai, tristemente nota alla cronache come “foresta dei suicidi”. Sara, che ha sempre avuto un rapporto profondo con Jess, è convinta che sua sorella non si sia tolta la vita, come in molti credono, e così decide di campeggiare nella foresta, malgrado le credenze popolari raccontino che tra quegli alberi si aggirino gli yurei, spiriti senza pace di chi si è tolto la vita.

Un’ambientazione vincente, una storia non originale ma dai giusti spunti eppure Jukai – La foresta dei suicidi è l’emblema della mediocrità fatta film horror.

La prima cosa che si intuisce guardando fin dai minuti iniziali il film di Jason Zada è l’incapacità di stare al passo con i tempi: Jukai – La foresta dei suicidi è un film vecchio, tanto nelle idee quanto nella messa in scena. Ma non quel “vecchio” che fa vintage e quindi è “in”, ma quel vecchio che corrisponde al “fuori tempo massimo”, ovvero ancora troppo recente per diventare di tendenza. Jukai – La foresta dei suicidi, infatti, sembra un film di quelli che venivano prodotti una quindicina di anni fa, quando il successo internazionale del remake di The Ring ha portato i produttori americani a rifare ogni horror proveniente dall’Oriente che avesse avuto un minimo di risonanza ad di fuori dai territori nazionali. E Jukai, pur non essendo remake di nulla, ricorda mille altre film di quel filone, risultando terribilmente già visto, banale nella costruzione dei personaggi e poco sorprendente anche quando tenta di spiazzare con colpi di scena.

La lunga prima parte di preparazione risulta eccessivamente lenta e non riesce a catturare l’attenzione anche a causa di una protagonista – interpretata dalla Natalie Dormer di Hunger Games e Il Trono di Spade – che ha poco mordente, un background visto troppe volte (il solito trauma infantile e il contatto mentale con la gemella) e un carisma pari allo zero. Il film comincia a guadagnare punti nella seconda parte, ma il merito è tutto della suggestiva location boschiva che, anzi, risulta anche poco sfruttata, vista l’ambientazione notturna. Qualche apparizione spettrale accompagnata dall’innocua alternanza di piani sonori, un personaggio di supporto pessimo (interpretato dall’inespressivo Taylor Kinney di The Vampire Diaries e Chicago Fire) e il film scorre sonnacchioso verso un inevitabile oblio.

Diciamo che avendo a disposizione una location come la foresta dei suicidi e una premessa intrigante, ci si poteva aspettare certamente un prodotto più ambizioso e meglio strutturato. Peccato.

Al cinema dal 28 settembre distribuito da Midnight Factory.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Una location davvero accattivante e suggestiva.
  • L’incipit della storia promette bene…
  • …purtroppo lo sviluppo è banale e poco interessante.
  • Ritmo lento, soprattutto nella prima parte.
  • Somiglia a quei remake americani di film orientali che spopolavano quindici anni fa.
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