La Abuela – Legami di sangue, la recensione

In uno dei suoi saggi più celebri, Sigmund Freud definisce il perturbante come un qualcosa di rimosso, di dimenticato che riemerge dal nostro inconscio e che ci spaventa, ci turba appunto, per il fatto di risultarci familiare e di far parte della nostra sfera emotiva più intima, con tutto il suo carico di sensazioni contrastanti e nefaste. Insomma, l’inventore della psicoanalisi vuole dirci, in estrema sintesi, che il nostro primo incontro col male avviene fin da piccoli e tra le quattro mura domestiche.

Concetto molto profondo e stimolante, anche se lo si inquadra dal punto di vista artistico, che non ha fatto altro che rafforzare lo stretto legame tra il frastagliato e complesso universo dell’analisi della mente umana e l’antologia horror, in ogni sua forma.

Partendo proprio dalla tesi di cui sopra, infatti, innumerevoli autori di racconti e film horror hanno identificato nella famiglia la fonte principale di orrori, traumi e maledizioni ed hanno trasformato quello che dovrebbe essere un nido sicuro in un teatro di morte e distruzione. Un quadro agghiacciante che sul grande schermo ha trovato forma attraverso famiglie sadiche e folli, protagonisti segnati da esperienze drammatiche vissute durante l’infanzia e tutto ciò che ne consegue.

Una lunga premessa che serve a presentare La Abuela, il nuovo attesissimo lavoro del regista spagnolo Paco Plaza il quale, dopo il meritevole e apprezzatissimo Veronica, ritorna alla ribalta con un horror per certi versi diverso dai suoi precedenti, non tanto nella messa in scena, ma per quanto riguarda la tematica e il modo di raccontare una storia dai toni inquietanti e da pelle d’oca. Un film tutto al femminile che ha come punto focale la stregoneria, il tema del doppio, il sogno dell’eterna giovinezza e dell’immortalità e che rimanda a paure ancestrali e alla dimensione di un male assoluto e senza speranza per chi ne resta vittima.

Susana è una giovane modella che lavora a Parigi e che sta vivendo una carriera in ascesa in un settore selettivo e fatto di gelosie e finte amicizie. Proprio nel momento in cui la ragazza sembra fare il definitivo salto di qualità, però, dalla sua terra natia, la Spagna, le giunge una telefonata che le stravolge i piani: sua nonna, con la quale è cresciuta e ha vissuto fin da quando era piccola, ha avuto un ictus che l’ha resa non più autosufficiente e incapace di interagire col mondo che la circonda. Susana si trova costretta a prendersi cura di sua nonna, ma questa non è la notizia peggiore in quanto la sua casa d’infanzia rivelerà alla protagonista segreti e ricordi rimossi terrificanti.

Paco Plaza decide di ripercorrere la strada già percorsa dai suoi colleghi connazionali e imprimere al suo film un’impostazione, quantomeno dal punto di vista visivo, molto simile a prodotti mainstream visti di recente. Ciò si traduce nella scelta di incastonare la storia e le sue protagoniste all’interno di un appartamento austero, tetro, oscuro e con il passare del tempo sempre più opprimente, quasi una trappola mortale per la bella Susana. Ma le analogie con altri film spagnoli del momento finiscono qui. Se la location principale, infatti, farebbe pensare ad una di quelle ghost stories viste e riviste, il plot e il suo intreccio prendono una direzione completamente diversa e coerente con una visione personale del regista di intendere il male in tutte le sue forme.

La Abuela racconta sì una storia di stregoneria, ma i sabba ossessivi e caotici e le manifestazioni sessuali veementi e convulse lasciano il posto ad una tensione costante e crescente, ma sempre velata, mai sopra le righe e capace di trascinare lo spettatore in uno stato di ansia permanente e disturbante. Ciò avviene non solo per merito delle succitate ambientazioni e la capacità del regista di mettere su sequenze davvero da brividi – tra cui va segnalata una scena onirica confezionata in maniera magistrale -, ma anche grazie ad una sceneggiatura solida e lineare che ha come fiore all’occhiello la caratterizzazione delle due figure femminili tanto diverse, ma al tempo stesso complementari fra loro.

Susana e sua nonna Pilar, infatti, possono essere definite come le due facce della stessa medaglia: la prima è una giovane ambiziosa che ha lasciato la terra in cui è cresciuta per realizzare il suo sogno, dando però poca attenzione al suo passato; la seconda, invece, è rimasta ancorata alle sue origini e cerca in tutti i modi di tenersi stretta a sé la sua nipotina, anche a costo di uccidere e fare del male.

Due figure femminili rese ancora più efficaci e profonde dalle interpretazioni della brava Almudena Amor e la sorprendente Vera Valdez, sulla quale il lavoro di make-up è davvero notevole nel trasformarla in una strega malefica e perfida.

Eppure alcuni difetti non mancano e questi risiedono in una seconda metà del film nella quale Plaza inserisce alcuni elementi e immagini non in linea con lo spirito evocativo e per certi versi minimale del film, oltre che in una non brillante gestione dei pochi personaggi secondari i quali, nonostante abbiano un ruolo non secondario all’interno del plot, non aggiungono e non tolgono niente alla storia, finendo così per essere anonimi e poco funzionali.

La Abuela, in conclusione, è comunque un ottimo prodotto e conferma sia la suggestiva vena artistica di Paco Plaza che la stagione positiva dell’horror spagnolo.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • Il tema della stregoneria è trattato in maniera diversa dal solito e con uno sguardo intimo e personale.
  • L’appartamento di Pilar è un covo malefico opprimente e mortifero.
  • Le due figure femminili sono caratterizzate da manuale della sceneggiatura.
  • I personaggi secondari sono mal amalgamati con i toni e lo stile del film.
  • Alcune immagini e sequenze della seconda metà appaiono non in linea con l’impostazione stilistica infusa da Plaza.
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