La Comune, la recensione

In un’epoca e in paese (cattolicissimo) come l’Italia si parla spesso di cosa è una famiglia e di cosa non lo è; dalle parole di molti sembra quasi che la famiglia sia una ricetta in cui gli ingredienti sono sempre gli stessi e devono essere tutti misurati con attenzione per ottenere un ottimo risultato. Peccato che si dimentica che il concetto di famiglia non è qualcosa di monolitico ma si plasma con la società circostante. Lo sa bene il regista danese Thomas Vinterberg che ha vissuto in una comune fino all’età di 19 anni e riporta la sua esperienza al cinema con il suo ultimo film, La comune, presentato all’ultimo Festival di Berlino.

Erik (Ulrich Thomsen) eredita la vecchia villa di famiglia e vorrebbe venderla per un’ottima somma ma la moglie Anna (Trine Dyrholm) propone al marito di farla diventare una comune: secondo lei, questa decisione farebbe bene a entrambi e al loro matrimonio, per non cadere nella routine e nella noia coniugale. Dopo qualche indecisione iniziale, l’uomo si convince e la casa si trasforma nell’abitazione di molti, amici di una vita ma anche completi sconosciuti. La vita della coppia si modificherà e crescerà insieme a tutte le vite che vivono in stretto contatto nel nuovo nucleo famigliare che hanno creato.

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Dopo aver toccato un tema taboo come la pedofilia con Il sospetto, Vinterberg parte da una sua opera teatrale e costruisce una finta commedia che ripercorre un’utopia sociale in maniera semplice ma riflessiva.  Si ride, ma non troppo, si pensa e ripensa a tutto quello che diamo per certo e prefissato. La difficoltà dell’uomo di porsi e costruirsi dei limiti e comprendere se questi confini facciano bene o male alle comunità umane sono gli argomenti alla base della pellicola. Vintenberg racconta tantissimi aspetti di una società fluida ma raramente distingue ciò che è giusto da ciò che è sbagliato: prende le convenzioni sociali e morali e le decostruisce per osservare con un’attenzione quasi chirurgica i rapporti umani. Le riflessioni portate avanti dal film sono molteplici ma a un eccellente incipit non corrisponde uno sviluppo altrettanto riuscito. Il titolo è La comune ma in realtà di essa vediamo molto poco: lo sguardo si concentra sulla coppia protagonista e solo attraverso le loro reazioni si modella quel gruppo umano variegato che Vinterberg ci invita a chiamare famiglia.

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“Un ambiente ristretto restringe la mente” sostiene Anna, famosa conduttrice televisiva dalla mentalità hippie con un carattere da mantide religiosa nei confronti del marito. La donna proverà sulla sua stessa pelle le trasformazioni da lei proposte e gli effetti collaterali di voler perseguire una strada senza la maturità di capire di aver fallito. Anna verrà intrappolata e distrutta dalla sua stessa ideologia inclusiva. Erik, docente di architettura, si sente perso in questa famiglia che non sente mai veramente sua fino a percepire una distanza anche dalla moglie. In questo nuovo tipo di famiglia si indeboliscono e si perdono i ruoli, persino quelli di marito e moglie.  Il regista mantiene uno sguardo privilegiato per i figli: in una concentrazione massiccia di adulti, Freja e il piccolo Vilads sembrano essere i più saggi e responsabili. Solo Freja, la figlia di Anna e Erik, saprà trovare le soluzioni definitive che i genitori non hanno la forza di accettare. Gli altri personaggi, seppur interessanti, vengono lasciati ingiustificabilmente in secondo piano: un racconto che doveva essere corale, finisce per essere più intimo del dovuto.

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Che cosa è una famiglia? La verità è che neanche Vinterberg ha una risposta definitiva: il regista ci consegna un modello di famiglia alternativo a quello del family day per dimostrare che ad essere disfunzionale non è mai la famiglia ma sempre gli uomini.

Matteo Illiano

PRO CONTRO
  • Vinterberg riparte dalla famiglia (come in quasi tutti i suoi film) per mostrare un nuovo modello da mettere in crisi.
  • Anna, interpretata brillantemente da Trine Dyrholm, è il personaggio più sfaccettato del film e incarna l’individuo annientato dalla sua stessa utopia.
  • Poco collettivo e molto intimo … strano per un film che ha come titolo La comune.
  • I personaggi della comune sono lasciati su uno sfondo secondario e ornamentale.

 

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