La fine del Mondo, la recensione

Gary King e i suoi quattro inseparabili amici Andy, Peter, Oliver e Steven negli anni ’90 erano adolescenti e passavano intere giornate a far bravate e a sbronzarsi nella sonnolenta cittadina inglese di Newton Haven con l’obiettivo di compiere il cosiddetto “miglio dorato”, ovvero un tour lungo una notte e mirato a bere in tutti e 12 i pub della cittadina. Però Gary e i suoi amici non sono mai riusciti a completare il miglio dorato, così a distanza di oltre vent’anni l’inossidabile leader del gruppo torna a farsi vivo per riunire la compagnia, tornare a Newton Haven e completare il tour dei pub che ha come ultimo obiettivo il World’s End. Gary però ritrova i suoi amici cambiati, cresciuti, con un lavoro e una famiglia da mantenere; comunque, non senza difficoltà, riesce a convincere i quattro e così comincia la loro avventura. Solo che Newton Haven non è più quella di un tempo, i pub si sono tutti omologati e anche gli abitanti hanno qualche cosa di strano… molto strano, quasi inumano!
L’avventura artistica che lega il regista e sceneggiatore Edgar Wright con gli attori Simon Pegg e Nick Frost comincia nell’ormai lontano 1999, quando va in onda su Channel 4 la prima stagione della sit-com Spaced. Da allora i tre fanno un sodalizio artistico che li porta a collaborare, ad oggi, a tre lungometraggi dei quattro diretti da Wright, che compongono la cosiddetta “trilogia del cornetto”. Tre commedie accomunate, appunto, dalla presenza del Cornetto Algida e che presentano tre storie differenti con diversi personaggi, ma tutte vogliose di rivisitare con un linguaggio brillante e uno humour molto british, tre diversi generi cinematografici. Si comincia nel 2004 con quel gioiellino seminale che è Shaun of the Dead – L’alba dei morti dementi che rispolvera l’horror zombesco, si prosegue con il buddy-movie Hot Fuzz che percorre la strada dell’action e si conclude quest’anno, 2013, con La fine del mondo, che rielabora alla maniera della premiata ditta Wright/Pegg/Frost la fantascienza.
Il risultato della conclusione di questa ideale trilogia è irresistibile, un film frizzante, inventivo e dal ritmo forsennato che oltre a confermare l’amore di Wright per certo cinema di serie b, mostra una sua incredibile crescita artistica.

La fine del mondo comincia come un film nostalgico, un percorso di crescita interiore compiuta dal personaggio principale interpretato da Simon Pegg che si pone con prepotenza come ostile a qualsiasi superamento del suo passato. Gary vive nel ricordo di un’adolescenza che palesemente non lo rappresenta più, eppure lui si ostina a catturarla e riesplorarla sempre e comunque, forse spinto da un presente che non sembra sorridergli. Gary King, il Re Gary, come si faceva e fa chiamare, è un quarantenne del 2013 con la mente di un diciottenne del 1990 e per questo vuole a tutti costi portare a compimento l’unica vera impresa incompiuta della sua vita (anche perché unica vera impresa iniziata): il miglio dorato.

Una rimpatriata tra vecchi amici e l'inizio del "miglio dorato"

Una rimpatriata tra vecchi amici e l’inizio del “miglio dorato”

Wright, con la complicità allo script dello stesso Pegg, utilizza il tono che gli è più congeniale per raccontare la vicenda un po’ amara di questo arrogante fallito, la commedia. L’intero film è un susseguirsi di botta e risposta, battute fulminee e quasi sempre portate a segno con brillantezza che fanno sospettare un alto grado di improvvisazione recitativa da parte di Simon Pegg. Uno sfizio che l’attore inglese può permettersi, visto che mostra sempre una grande malleabilità recitativa e forse in questo film da una delle migliori prove della sua carriera.

Fatto sta che il tono da commedia divertente e mai volgare rimane costante per tutto il film, anche se dopo una mezz’ora abbondante La fine del mondo diventa una perfetta vicenda sci-fi sul tema delle invasioni aliene. Il modello è dichiaratamente L’invasione degli ultracorpi, con molte concessioni soprattutto al suo ottimo remake anni ’70 Terrore dallo spazio profondo (anche se si può notare anche un riferimento – forse involontario – al teen horror Generazione perfetta). L’omologazione, prima ravvisabile nella “starbuckizzazione” dei pub di Newton Haven, che tende a un miglioramento del genere umano, corre parallela al richiamo dell’età di Gary, facendo si che l’invasione aliena funzioni un po’ da metafora alla resistenza del protagonista alla sua crescita mentale, alla sua responsabilizzazione.

Pur con qualche ripetitività narrativa nello sviluppo orizzontale della storia, La fine del mondo può vantare un ritmo altissimo, creato dall’indiavolato alternarsi di gag verbali (e qualche volta fisiche) con le numerose scene d’azione. Un’azione, tra l’altro, gestita benissimo a livello visivo e coreografico dal regista, con numerose evoluzioni di m.d.p. e lunghe scene di lotta mascherate da piano sequenze.

Forse lo scontro finale non soddisfa pienamente per una tendenza alla spiegazione prolissa, ma è la conclusione vera e propria a lasciare un sorriso a trentadue denti sul volto dello spettatore: una perfetta quadratura del cerchio.
In attesa di vedere Wright alle prese con il colosso Marvel per la trasposizione di Ant-Man, possiamo ritenerci soddisfatti dalla conclusione della sua Trilogia del cornetto, perché La fine del mondo è cinema di qualità, intrattenimento intelligente e inventivo, un ottimo modo per passare una serata allegra… e poi vedere tutti quei fiumi di birra scorrere sullo schermo fa venire una grande sete!

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Ricco di gag divertenti.
  • Ottima regia e ottima gestione delle scene d’azione.
  • Simon Pegg è ai suoi vertici attoriali e tutto il cast funziona bene.
  • Ritmo molto alto.
  • Qualche ripetizione narrativa di troppo.
  • Scontro finale verbalmente prolisso.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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