La Macchinazione, la recensione

Nell’estate del 1975, Pier Paolo Pasolini è impegnato al montaggio di uno dei suoi film più controversi, Salò o le 120 giornate di Sodoma. Nello stesso tempo, porta avanti il lavoro di documentazione affinché possa finire di scrivere il romanzo Petrolio, un atto di accusa contro il potere politico ed economico che sta affliggendo il Paese. Fuori dagli impegni lavorativi, nella vita privata, Pasolini è impegnato da mesi in una relazione con Pino Pelosi, un giovane sottoproletario romano che ha legami con il mondo della malavita. Una notte, alcuni amici di Pelosi rubano il negativo di Salò dagli studi Tecnicolor per poi chiedere un ingente riscatto. Ma lo scopo del furto, in realtà, è quello di attirare Pasolini in una trappola mortale.

Poeta, scrittore, cineasta, drammaturgo, giornalista, pittore e linguista. Nel bene e nel male, Pier Paolo Pasolini è da considerarsi come una delle figure più importanti e discusse tra tutti gli intellettuali del ventesimo secolo, non solo italiani.

Inevitabile, dunque, che molti riflettori venissero accesi su di lui e sulla sua vita.

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Stimato da molti e biasimato da altri, Pier Paolo Pasolini ha sempre cavalcato l’onda dell’intellettuale scomodo. Artista e pensatore di sinistra, molto sensibile ai cambiamenti della società italiana dal secondo dopoguerra agli anni settanta, è stato spesso al centro di accese polemiche e dibattiti a causa del suo pensiero radicale e delle forti dichiarazioni rilasciate contro la società borghese e consumistica dell’epoca. A rendere ancor più controversa e discussa la sua posizione ci ha pensato il rapporto con la propria omosessualità, posta al centro del suo personaggio pubblico e spesso motivo scatenante di alcune denunce e processi.

A porre definitivamente il poeta sotto gli occhi di tutti i media, però, è stata quella notte del 2 novembre 1975, quando all’Idroscalo di Ostia è stato ritrovato il corpo esanime di Pasolini. Il caso viene sciolto con l’accusa a Pino Pelosi per aver ucciso il noto intellettuale il quale, secondo la perizia, si era appartato all’Idroscalo per una notte di piacere. Ma la maniera con cui viene archiviata la morte di Pasolini, fatto passare per un molestatore assetato di sesso, non convince tutti e un fitto alone di mistero rimane attorno a quella notte. Alcune teorie concordano sul fatto che si sia trattato di una vera e propria esecuzione per eliminare un personaggio scomodo, che Pelosi sia stato solo una pedina al servizio di una cospirazione ben più grande. A dare manforte a queste teorie c’ha pensato l’autobiografia scritta da Pelosi e pubblicata nel 2001, Io so come hanno ucciso Pasolini, in cui il condannato afferma che ad uccidere il noto intellettuale fu un branco di persone ma, ovviamente, si guarda bene da rivelare i loro nomi.

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In tanti hanno provato a raccontare un capitolo, più o meno conturbante, legato alla vita o alla personalità del poeta ma in pochi sono riusciti a restituire un’immagine concreta e umana di Pasolini senza lasciarsi confondere dai morbosi “appetiti sessuali” che sempre troppo spesso vengono legati al cineasta e che, in fin dei conti, non fanno altro che svilire e ridurre a stereotipo l’immagine del pensatore-artista.

Al servizio di Abel Ferrara, due anni fa è stato Willem Dafoe ad impersonare Pier Paolo Pasolini in un biopic che ha convinto poco; adesso spetta al giornalista-regista David Grieco il difficile compito di rendere giustizia al poeta e cercare di far luce – attraverso una personalissima ricostruzione dei fatti – su quella tragica notte a Ostia del 1975.

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David Grieco, che nel 2004 aveva diretto Malcom McDowell nel thriller Evilenko, poteva essere senz’altro la persona giusta per poter parlare di Pasolini senza cadere in facili e futili luoghi comuni. Grieco, infatti, fu amico del poeta e recitò per lui in Teorema prima di iniziare a scrivere per il quotidiano l’Unità e diventare un intervistatore privilegiato di Pasolini. Questo rapporto umano tra il regista di Accattone e Grieco ha senz’altro dato i suoi frutti e La Macchinazione si lascia senz’altro apprezzare per l’evidente volontà di raccontare la vita lavorativa, ma ancor di più privata, di Pier Paolo Pasolini cercando di mostrare la normalità di quest’uomo. Un intellettuale avverso al sistema politico-sociale, certo, ma anche una persona fragile e piena di insicurezze che vive la sua omosessualità con estrema normalità e ben lontano da ossessioni e perversioni.

Un ritratto tanto semplice quanto efficace, quello offerto in La Macchinazione, avvalorato da un’interpretazione degna di nota ad opera del grande artista Massimo Ranieri che, facendosi forte della sua reale somiglianza con il pensatore, riesce con naturalezza a far rivivere Pier Paolo Pasolini sul grande schermo.

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L’idea che spinge Grieco a muovere le fila della narrazione è tanto nobile quanto apprezzabile. Appare originale e interessante l’idea di raccontare gli ultimi giorni di vita di un personaggio tanto importante quanto scomodo utilizzando il linguaggio del cinema thriller. La Macchinazione, nella costruzione così come nel linguaggio adottato, è una vera e propria spy story in cui c’è spazio per tutto: cospirazioni, complotti governativi, informazioni segrete che non dovrebbero trapelare, furti ed una vittima designata.

Pregevole è il tentativo di raccontare fatti e personaggi realmente esistiti, da Pasolini a Pelosi passando per Eugenio Cefis, fondatore nel 1973 della P2, inserendoli in un credibile racconto di spionaggio in cui ogni cosa sembra avere senso. Peccato solamente che la bontà dell’idea di partenza si traduce, in fase di scrittura e successivamente di riprese, in un film maldestro incapace di coniugare il cinema di genere con quello d’inchiesta.

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La sceneggiatura, scritta dallo stesso Grieco con Guido Bulla, è confusa, esageratamente frammentaria, totalmente incapace di creare una vera e solida traccia narrativa. La conseguenza è quella di generare un racconto freddo, sterile, per nulla in grado di catturare l’attenzione e l’interesse dello spettatore. Se un lavoro interessante era stato svolto nella delineazione del protagonista, fallimentari si rivelano essere le situazioni che si susseguono l’una dietro l’altra, spesso didascaliche e arricchite con dialoghi brutti e involontariamente ridicoli.

Anche registicamente parlando La Macchinazione appare un film fortemente indeciso. Alcune scelte sperimentali sono indubbiamente forzate così come lo è la volontà di interrompere la struttura narrativa lineare a mezz’ora dalla fine per dare spazio ad una costruzione che avanza, senza alcuna logica, per mezzo di flashback e flashforward.

Tanti, troppi difetti su cui non è possibile chiudere un occhio. E questo rappresenta un vero peccato perché, se David Grieco si fosse limitato alla stesura del soggetto lasciando la sceneggiatura e la regia in mano a terzi, La Macchinazione aveva tutte le carte in regola per dare alla luce un film vincente.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • Massimo Ranieri è Pier Paolo Pasolini.
  • La volontà di raccontare un Pasolini normale,  lontano da quei noiosi stereotipi che permeano sempre la sua figura.
  • Interessante e originale il voler raccontare gli ultimi giorni di Pasolini come fosse un film di spionaggio.
  • Una sceneggiatura disarmante, confusa, ricca di situazioni didascaliche e dialoghi veramente brutti.
  • Regia indecisa.
  • Attori piuttosto scarsi o fuori ruolo (eccezione fatta per Ranieri) con, in prima linea, una Milena Vukotic nei panni della mamma anziana e malata.
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