La principessa e l’aquila, la recensione

Aisholpan è una ragazza di 13 anni e fa parte di una famiglia nomade che vive nella parte mongola dei monti Altaj, una zona in cui una tradizione in particolare molto sentita viene tramandata di padre in figlio da secoli: la caccia con le aquile. Un’usanza tutta maschile in una società dove le donne sono ritenute troppo deboli per poter anche solo pensare di cimentarsi in qualsiasi tipo di attività al di fuori dei lavori casalinghi. Ma per Aisholpan la questione è diversa. Cresciuta fin da piccola con il mito dei cacciatori di aquile, decide di voler far parte di quel mondo andando contro una tradizione millenaria.

Il desiderio istintivo che spinge Aisholpan e l’amore con cui il padre decide di accoglierlo sono il fulcro a cui tutto il documentario gira intorno. La nostra protagonista non sceglie di andar contro niente e nessuno, è solo spinta da un sincero desiderio di comprendere una disciplina così radicata nel passato dei suoi antenati. Questa genuina aspirazione già da sola riesce a renderla una figura iconica, non solo per potenziali spiriti femministi ma in maniera universale per tutti coloro che faticano a trovare la propria strada o non hanno il coraggio di imboccarla. A questo si uniscono gli indumenti tipici delle tribù nomadi mongole, così visivamente evocativi, è un dolce volto paffuto che scalda il cuore a ogni sorriso. Sullo sfondo i maestosi paesaggi dei monti Altaj risultano così perfetti che alle volte paiono quasi frutto di un enorme green screen abilmente post-prodotto.

Tuttavia, nonostante una storia vera così sincera e genuina, il progetto appare costantemente in bilico tra documentario e racconto di finzione. La sensazione di trovarsi spesso di fronte a scene ricostruite ad hoc è sempre presente, un dubbio confermato anche dal tipo di narrazione che si è deciso di conferire all’opera. La storia di Aisholpan è raccontata in maniera apertamente lineare e strizza più o meno volontariamente l’occhio a un tipo di cinema sportivo che individua nel riscatto personale il suo fine ultimo. Si passa dalla protagonista osteggiata da molti che decide di intraprendere un difficile percorso, per arrivare al montaggio dell’allenamento intensivo con musica di sottofondo in preparazione del grande torneo in cui, ovviamente, la nostra Aisholpan è data per grande sfavorita. Un tipo di racconto che inevitabilmente finisce per semplificare di molto il messaggio femminista alla base della storia, perdendo per strada un po’ della genuinità che caratterizza la vita della giovane protagonista.

Una scelta di montaggio che da una parte certo semplifica i messaggi che il film cerca di veicolare, ma che tuttavia risulta azzeccata in chiave di grande distribuzione commerciale e ha il merito di rendere la storia della grintosa Aisholpan universale. Una sorta di ibrido in cui spesso ci si domanda se quella o quell’altra scena siano realmente accadute o semplicemente ricreate ma che, a prescindere da questo, ha un grande merito: proporre al pubblico un esempio di vita diverso dalle solite icone stereotipate a cui siamo abituati. Oltre al fatto di regalarci, complice un gruppo di anziani del villaggio leggermente conservatori, una delle scene più divertenti degli ultimi mesi cinematografici.

Il documentario, diretto dal debuttante Otto Bell, uscirà al cinema in tutta Italia il 31 agosto distribuito da I Wonder Pictures, con la voce narrante italiana di Lodovica Comello.

Matteo Pioppi

PRO CONTRO
La storia di Aisholpan è forte e universale ed è impossibile non simpatizzare per lei. Il modo un po’ stereotipato in cui viene costruito narrativamente il progetto.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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La principessa e l'aquila, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

One Response to La principessa e l’aquila, la recensione

  1. Judy ha detto:

    Visto a Biografilm 2017. Bellissimo!!!

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