La Principessa Mononoke, la recensione

Ognuno di noi è cresciuto guardando Heidi in tv ed appassionandosi alle storie della piccola pastorella e del suo burbero nonno. Ma in pochi sanno che il suo papà, colui che con matita e pastelli le ha dato vita, è uno dei più grandi maestri dell’animazione giapponese, anzi mondiale: Hayao Miyazaki. In pochi conoscono questo grande artista, che, insieme all’amico e collega Isao Takahata, ha fondato nel 1985 lo Studio Ghibli, uno dei più grandi studi d’animazione giapponese del mondo. Ma niente paura: per tutti coloro che volessero iniziare a conoscere il lavoro di questo grande maestro, in occasione della Festa del Cinema 2014, torna nelle sale uno dei capolavori assoluti dello Studio Ghibli e del regista Miyazaki: La Principessa Mononoke.

Uscito per la prima volta in Giappone nel 1997, oggi grazie alla Lucky Red, torna nelle sale cinematografiche italiane l’opera che portò Miyazaki e lo Studio alla consacrazione in Occidente, in un nuovo adattamento e con un nuovo doppiaggio, molto più fedele all’originale. Un regalo prezioso per tutti i fan del maestro, ma anche un’occasione per riscoprire un classico dell’animazione, a prescindere dall’essere o no un fan di anime giapponesi. Perchè davvero La Principessa Mononoke, in originale Mononoke Hime, è un capolavoro da vedere almeno una volta nella vita, meglio se da giovani.

La versione da oggi in sala è stata completamente ridoppiata e riadattata, e presenta una maggiore fedeltà all’opera originale giapponese. La prima versione distribuita dalla Disney nel 2000 non era assolutamente degna dell’opera originale, dove un doppiaggio scadente e poco curato ed un adattamento banale e semplificato stravolgevano di fatto la storia concepita da Miyazaki. Ora con questo nuovo adattamento, curato da Gualtiero Cannarsi, possiamo finalmente guardare il film senza ricorrere all’uso dei sottotitoli, in quanto sia i dialoghi, sia la simbologia e sia il finale (che nella prima versione era molto più rassicurante rispetto all’originale) sono perfettamente in linea col messaggio concepito dal regista. Decisamente un dato positivo, che denota finalmente una maggiore attenzione da parte dell’industria cinematografica italiana al lavoro dello Studio Ghibli e più in generale dell’animazione giapponese.

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La storia è ambientata in Giappone, esattamente nel periodo Muromachi (1392-1573). Il paese è ancora selvaggio, ma il progresso tecnologico comincia a turbare l’equilibrio naturale. Nel nord dell’arcipelago vive una tribù pacifica, quella degli Emishi, il cui futuro capo è il giovane principe Ashitaka. Un cinghiale selvatico posseduto da una divinità maligna attacca il suo villaggio ed Ashitaka uccidendolo resta ferito ad un braccio, colpito da una maledizione che potrebbe portarlo alla morte. La grande Sacerdotessa del villaggio gli consiglia allora di partire verso Ovest, dove potrebbe trovare il modo di neutralizzare la maledizione. Durante il suo viaggio Ashikata incontra Jiko, un avido bonzo, che gli rivela l’esistenza di una foresta in cui vive un Dio-Cervo, una creatura mitica dal corpo di cervo ed il volto umano che regna sul mondo animale e vegetale, dotata di poteri soprannaturali. Così Ashikata s’incammina e arriva al villaggio dei Tatara, una comunità di fabbri, guidata dall’impervia Madame Eboshi. Trincerata nella sua fortezza, Madame Eboshi accoglie ammalati, prostitute, lebbrosi e contadini senza terra, per difenderli dai clan vicini, ma è odiata da San, una ragazza selvatica allevata dai lupi, che ritiene i Tatara responsabili della distruzione della foresta. San è soprannominata Principessa Mononoke, ovvero “la Principessa Spettro”. Una sera San s’introduce nel villaggio per uccidere Madame Eboshi, ma Ashitaka glielo impedisce. Gravemente ferito, lascia i Tatara per riportare la Principessa svenuta nella foresta. Lì incontrerà il Dio-Cervo ed un epico combattimento tra Natura ed Uomini avrà inizio.

Una favola fuori dal tempo ma sempre estremamente attuale. Apparentemente una storia di lotta tra Uomo e Natura, dove lo scontro è diventato non più solo simbolico, ma epico, pieno di violenza, orrore, morte e distruzione. Il conflitto non è solo tra Uomo e Natura, ma tra uomini e uomini e tra animali ed animali, dove ognuno è pronto a tutto pur di distruggere l’altro. Il film tocca tutti i temi cari al regista giapponese, dall’ambientalismo al rapporto tra uomo e progresso e tra progresso tecnologico e natura incontaminata, dal ruolo delle donne al senso della bellezza delle piccole cose. Il film è sì una favola ambientalista, ma l’intera storia è lontana da ogni tipo di banalizzazione dei temi e dei personaggi, che sono invece profondamente caratterizzati, mai interamente buoni o cattivi. Protagonisti a tutto tondo dunque, in particolar modo le tre figure principali, che rendono il film intrigante ed affascinate. Il carattere forte ed anticonformista di Eboshi, incarna il progresso, l’ossessione per il potere. Ma Eboshi non è solo questo: donna emancipata e padrona della Città del Ferro, ha riscattato gli schiavi, le prostitute, i reietti ed i lebbrosi da lei stessa curati per farli lavorare nella sua fabbrica, elevandoli dal loro ruolo di ultimi della società, in particolar modo le donne, che emancipate dagli uomini, ora si sentono molto più forti di loro. San è invece la Principessa Mononoke, La Principessa degli Spiriti Vendicativi, abile guerriera e pronta ad uccidere chiunque profani la Sacra Foresta. Abbandonata da bambina e cresciuta dai lupi, combatte al fianco gli Spiriti Guerrieri della Foresta pur non essendo completamente una di loro. Una figura, quella di Sen, che si rifà alle leggende di Romolo e Remo, al Il Libro della Giungla di Rudyard Kipling o al mito di Tarzan. In mezzo a queste due forti figure femminili troviamo Ashitaka, il malinconico principe di un popolo quasi scomparso, maledetto dal rancore e dall’odio, ma mai sopraffatto da esso. E’ il pacificatore delle due fazioni, colui che incarna lo ying e lo yang della filosofia nipponica: nobile e coraggioso, rappresenta la purezza, la giustizia e l’umanità. Miyazaki trasferisce in Ashitaka tutte le caratteristiche della Dottrina Shintoista, come l’equilibrio e la coesistenza degli opposti. Lo spettatore, così come Ashitaka, è diviso ed empatizza per entrambe le fazioni che si macchiano di orrori e violenza in egual misura.

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La mitologia è centrale nel film e traendo spunto dal folklore giapponese e dalla propria immaginazione, Miyazaki dà vita a divinità e creature della Foresta, come i divertentissimi e dolcissimi Kodama, gli Spiriti degli Alberi, oppure ancora il Dio-Cervo, simbolo della rigenerazione vitale. Il film è costellato d’immagini suggestive e sequenze memorabili, come la camminata notturna del Dio-Cervo, oppure l’iconica sequenza del primo incontro tra Ashitaka e Sen: sfiorando quasi un cliché disneyano assistiamo al colpo di fulmine del principe che guarda di nascosto per la prima volta la principessa, e con un solo sguardo se ne innamora. Ma come detto il cliché è solo sfiorato in quanto Miyazaki realizza un’immagine perfetta, assolutamente non banale, un frame iconico che rimarrà il simbolo del film: Sen si volta verso i cespugli dietro i quali è nascosto Ashitaka e per la prima volta vediamo il suo viso, un viso sporco di sangue, imbronciato e fiero, decisamente lontano dal classico stereotipo della principessa disneyana.

Monnoke Hime è una storia di valori e di crescita. Una rappresentazione molto realistica ma ricca della poesia e della magia tipica del popolo giapponese. Minuziosissima è l’attenzione alla ricostruzione storica, ai costumi ed alle strutture sociali del passato, e le linee ed i tratti dei disegni sono superbi nella loro semplicità, sottili ed essenziali, un effetto ottenuto da Miyazaki mediante sia i tradizionali frame disegnati a mano per i quali è famoso e sia grazie all’animazione computerizzata. La bellezza mozzafiato degli acquerelli regala allo spettatore scenari e paesaggi evocativi ma profondamente reali, dai quali traspare tutto l’amore del regista per la natura. Ad aggiungere un tocco di magia in più ci pensano le straordinarie musiche di Joe Hisaishi, autore delle colonne sonore di quasi tutti i film dello Studio Ghibli: melodie ancestrali e misteriose che sembrano seguire il flusso della linfa vitale della Foresta.

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La Principessa Mononoke parla di come sia difficile ma necessario raggiungere la pace e l’equilibrio, un equilibrio tra valori opposti ed inconciliabili. Lo stesso personaggio di Sen incarna perfettamente l’unione dei due mondi, quello umano ed animale, un’unione ed una mediazione che verranno portate avanti per tutto il film da Ashitaka. Il finale non è affatto rassicurante o consolatorio, ma anzi trasmette il messaggio dell’impossibilità di convivenza tra i due mondi. Miyazaki ci dice che un lieto fine non è possibile, ma è sempre importante provare a raggiungerlo, combattere per esso, ed in questa infinita lotta tra Uomo e Natura, ci sono ancora delle esperienze da provare e delle cose magnifiche per cui vale la pena vivere. Lo stesso Miyazaki ha affermato: “Nel film abbiamo messo in scena l’odio, ma solo per mostrare che ci sono cose più importanti. C’è una maledizione, ma solo perchè volevamo mostrare la gioia della salvezza”. Sorretto da una storia complessa ed adulta, che può essere letta ed interpretata su più livelli, La Principessa Mononoke è un capolavoro indiscusso dell’animazione ma più in generale della storia del cinema, tanto da trovarsi alla posizione numero 488 della classifica dei “500 migliori film della storia” secondo la rivista Empire. Un piccolo ed autentico gioiello.

Serafina Pallante

PRO CONTRO
  • La bellezza autentica dei disegni a mano vecchio stile;
  • I personaggi assolutamente affascinati e per nulla banali;
  • Il nuovo doppiaggio, molto più curato e fedele all’originale.

 

  • La lunghezza forse eccessiva del film;
  • L’efferatezza e la violenza di alcuni sequenze che forse potrebbero turbare il pubblico più giovane.

 

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