La ragazza del mondo, la recensione

Deve avere un gran fegato Marco Danieli, lunga esperienza nell’universo dei corti, qui al primo lungometraggio, per imporre all’attenzione del pubblico un tema come quello dei Testimoni di Geova. L’argomento è spinoso, centro di inchieste giornalistiche e attenzioni di curiosi mass media ai quattro angoli del globo. Chi vuole recarsi al cinema per analizzare una realtà così lontana e, allo stesso tempo, così vicina a tutti noi, non ne rimarrà deluso. La fotografia scattata al movimento religioso da parte di Danieli con La ragazza del mondo è fedele: regole rigide, ferree, praticamente militari, interpretate da persone che all’apparenza sembrano così docili e sempliciotti. Un’apparente incongruenza. Ed è sulla base di un distacco fra due realtà che si contrastano, si sfiorano e (sembra) si completino, che si sviluppano i 104 minuti della pellicola scritta e diretta dal regista diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia.

Giulia è una giovane ragazza adepta al movimento dei Testimoni di Geova. La sua vita procede, scuola a parte, solo ed esclusivamente all’interno del solco creato dalla confraternita religiosa. Durante un’attività di proselitismo incontra Libero, uno spacciatore di borgata uscito da poco dal carcere. Giulia, che pratica un tirocinio presso un’azienda di falegnameria, convince i genitori ad assumere proprio Libero al fine di dargli una seconda possibilità di riuscita nella vita, oltre alle precedenti esperienze illegali. Il rude giovane porterà però nella vita della brava studentessa un vento nuovo, di cambiamento. Una spinta rinnovatrice completamente opposta ai dettami di conservazione dei Testimoni di Geova.

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La ragazza del mondo può definirsi un film maturo. L’argomentazione osservata infatti non può essere presa alla leggera e il lavoro di Danieli ed Antonio Manca (l’altro sceneggiatore) è cucito su un substrato sociale molto delicato. Nel ferreo mondo dei Testimoni di Geova si insinua una persona completamente contrastante a livello caratteriale, emotivo, di estrazione sociale e di credo. Lo stesso credo che per il movimento religioso è tutto, tanto da descrivere ogni attività da perseguire. Un parallelismo di contrasti che si riproduce per tutto il film. Due vite che non possono avere a che fare l’una con l’altra ma che, attraverso quel pazzo sentimento che è l’amore, non possono che intrecciarsi ed unirsi.

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Lo stile cinematografico di Danieli si fonda proprio sui temi che affronta, a partire dai primi piani più volte presenti durante la pellicola, rappresentazione dell’io più profondo. Un intimo che per la società ‘classica’ è privato, ma che all’interno della congregazione di Geova è tutt’altro che personale: gli anziani (una sorta di pastori della confraternita) devono sapere tutto, anche a rischio di mortificare gli ‘interrogati’ nelle più intime notizie. Un pervasività che si ritrova ancora, durante la pellicola, specialmente nella prima parte, dove l’affiliazione a Geova è ancora attestata, con le scene collettive. Mai i protagonisti, specialmente gli adepti alla religione, si ritrovano da soli: e infatti, metaforicamente, sono oppressi, soffocati dal credo e lo accettano. È in Giulia che si incrina la credenza, grazie alla presenza di Libero. Certo il nome è già un biglietto da visita: lui è lontano da schemi predefiniti, da convinzioni e convenzioni. È l’irrazionale che non segue filo logico, l’unica ancora di salvezza per chi, come Giulia, non fa altro che seguire schemi di vita già definiti, costrizioni. Libero non accetta il credo di Geova sotto forma di ‘consiglio’ al lavoro procuratogli da Giulia: “ognuno sta al posto suo e fa il lavoro suo. Solo quello”, gli viene premesso. Parole al vento. È un’idea che non attecchisce dentro il protagonista, convincentemente interpretato Michele Riondino, navigato attore pugliese da oltre tre lustri sul grande schermo.

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I due seguono due binari paralleli, rappresentano due vite nell’illegalità: da una parte c’è Giulia e la sua famiglia. Sono testimoni di Geova e volontariamente non frequentano le cosiddette ‘persone del mondo’. È una sorta di autorelegazione, di esilio dai rapporti con gli impuri che non seguono la parola delle Sacre Scritture. Dall’altra parte c’è Libero: lui sì che vive nell’illegalità, vista l’attività di pusher che portava avanti. Due mondi separati che corrono per la propria via e che si sviluppano al massimo indistintamente. Finché non entra in gioco l’amore che fa deviare i binari in un’unica retta.

Ed è subito luce: la luce della fine di due stili di vita che non sopportavano più di proseguire in quel modo. Da una parte la costrizione di Giulia per mezzo della congregazione e della famiglia, quest’ultima sempre ripresa in scene tra il buio e il chiaroscuro. Libero è praticamente sempre sotto la luce. Per lo meno nella prima parte della pellicola. Forse un’iniziativa di Danieli e Emanuele Pasquet (direttore della fotografia) da cinema d’autore: l’ombra rappresenterebbe l’obbligo, il vincolo e la limitazione di Giulia, la luce è la libertà del giovane che vuole rifarsi una vita, rispettando la libertà individuale. Una vita che Libero veramente vuole ricostruirsi, ma può farlo solo se ha una spalla come Giulia, ragazza seria, dolce e dedita ben interpretata da Sara Serraiocco, riconosciuta astro nascente del cinema nostrano grazie alla recitazione della non vedente Rita in Salvo.

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Chissà se anche Marco Danieli avrà la fortuna e le capacità di essere definito come una promessa della regia, un enfant prodige dei lungometraggi, dopo oltre dieci anni nella ‘cadetteria’ dei documentari e dei corto. Che il regista romano abbia i numeri per poter puntare in alto, questo è evidente anche dai movimenti di camera, dai piani sequenza, dai montaggi alternati spesso presenti, dalle inquadrature dall’alto ed isolate, rappresentati di un lacerante vuoto interiore dei protagonisti. Se continuerà sul solco dei lungometraggi con un substrato sociale così interessante, il suo futuro non potrà che essere roseo.

Daniele Errera

PRO CONTRO
Nel film vi sono temi sociali affrontati con gli occhi di sentimenti reali, tutt’altro che di finzione: amore, coraggio, cattiveria, vergogna Le solite esigenze di tempo impediscono un approfondimento di alcuni personaggi che poi risultano artefatti, così come le loro mansioni
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