La serie di Cuphead, un ritorno all’animazione classica da un videogame run n’ gun

Il 18 febbraio è finalmente arrivata su Netflix La serie di Cuphead (The Cuphead Show), una serie animata ispirata al videogioco sviluppato dallo studio MDHR. La serie segue varie vicende che capitano a Cuphead e Mugman, gli stessi protagonisti del fortunato run n’ gun dei fratelli Moldenhauer.

La scrittura della serie è molto lontana dal videogioco di partenza, siamo infatti davanti a un prodotto rivolto maggiormente a un pubblico di bambini che agli adulti che hanno avuto a che fare con il gioco. I riferimenti continui ai personaggi e ai luoghi del materiale di partenza sono tantissimi e apprezzatissimi dai fan: Satanasso e Re Dado, ad esempio, personaggi chiave tanto del videogioco quanto della serie. Se si cerca un tipo di serie a cui le piattaforme ci hanno abituati di recente, il Cuphead Show sicuramente non è quello che potreste immaginare, la serie infatti è molto distante da ciò che ci viene spesso proposto da Netflix: l’avanzamento della storia non è assolutamente lineare e, anzi, spesso ci si ritrova con episodi totalmente verticali e autoconclusivi che non avanzano in alcun modo la trama.

Siamo forse di fronte al miglior adattamento in serie tv mai fatto partendo da un videogioco, non a caso i fratelli Moldenhauer figurano tra i produttori esecutivi della serie ed hanno quindi, di fatto, seguito in prima persona il progetto. Questa ottima trasposizione si deve molto probabilmente anche al fatto che gli stessi Moldenhauer hanno avuto come ispirazione principale per il loro videogioco l’animazione anni 30’ e 40’.

La mano dei fratelli si sente pesantemente nell’aspetto visivo della serie che ricalca moltissimi aspetti di quell’animazione classica che i due amano alla follia. Non solo i continui riferimenti nel character design a personaggi come Felix the Cat, che per altro nella prima puntata appare tra la folla al Luna Park, Bronko o lo stesso Re Dado che ricorda vagamente nelle fattezze sua maestà dell’animazione Walt Disney; o altre chicche come la citazione spudorata alla Skeleton Dance delle Silly Symphonies disneyane nel celebre episodio del cimitero.

Anche stilisticamente le direttive e le influenze dello studio MDHR si sono fatte sentire: le animazioni sono ispirate alla Rubber Hose Animation (Letteralmente “animazione a tubo di gomma”) dove i corpi sembrano privi di ossa e vengono distorti lungo tutto il fotogramma; gli sfondi poi sono spesso riprese reali realizzate in stop motion sopra alle quali vengono applicate le animazioni con una tecnica chiamata “setback camera” che i Moldenhauer hanno preso a piene mani dai Fleischer, mostri sacri di quell’animazione da loro adorata, e dai quali hanno attinto anche per moltissimi altri design tra cui gli occhi tondi delle due amabili porcellane Cuphead e Mugman.

Con The Cuphead Show il materiale di partenza del videogioco fa ritorno alla sua forma originale e regala al pubblico una serie animata incredibile che riesce ad arrivare contemporaneamente a due tipi differenti di pubblico. Grazie al ritmo molto vicino a Topolino ci si trova davanti a una serie che, nonostante la fissazione dei Rudish per l’animazione anni 30’, può regalare ai piccoli spettatori uno dei prodotti di più alta qualità degli ultimi anni. Allo stesso tempo, proprio per questa particolare cinefilia dei due fratelli americani, non siamo di fronte solo a un eccellente prodotto per l’intrattenimento dei più piccoli ma un puro omaggio a un mondo dell’animazione spesso troppo in sordina che, agli appassionati, farà sicuramente sgranare gli occhi a ogni riferimento, citazione o richiamo al passato e, contemporaneamente, magari porterà dei neofiti dell’ambiente ad approfondire questi capolavori del passato frequentemente passati in sordina.

Emanuele Colombo

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