La stanza, la recensione

La stanza

Una donna in abito bianco, da sposa, è in piedi in bilico sul davanzale della finestra. Fuori una pioggia torrenziale, sotto di lei il vuoto. Ma suona il campanello e la donna viene richiamata alla realtà, distolta dal gesto che indiscutibilmente è un tentativo di suicidio. Alla porta c’è Giulio, che chiede ospitalità nel bed & breakfast che Stella, l’aspirante suicida, gestisce insieme a suo marito Sandro, che presto raggiungerà la donna e il loro ospite. Dire di più della trama del thriller La stanza sarebbe un delitto perché il terzo lungometraggio del talentuoso Stefano Lodovichi è un continuo susseguirsi di sorprese e colpi di scena.

Tutto inizia dall’idea di fare un documentario sull’hikikomori, ovvero quel fenomeno che descrive l’auto-isolamento che alcuni soggetti scelgono per estraniarsi in maniera estrema dalla vita sociale. Un fenomeno in continua crescita che ha trovato un nome e una definizione in Giappone, patria dell’estraniamento metropolitano moderno. Il progetto di Stefano Lodovichi però non è andato in porto e il regista di Aquadro e In fondo al bosco ha deciso di utilizzare parte delle informazioni raccolte e del fascino che l’argomento ha per dar vita a una vicenda di fantasia da trasformare in un film. In coerenza con i lavori pregressi, La stanza racconta l’infanzia difficile e lo fa utilizzando suggestioni di genere, nello specifico appartenenti all’ambito del thriller/horror.

La stanza

Il lavoro di scrittura che Lodovichi ha condotto, coadiuvato da Francesco Agostini e Filippo Gili, punta molto a disorientare lo spettatore inducendo inizialmente molti interrogativi: perché Stella vuole uccidersi? Chi è Giulio e cosa vuole? Sandro nasconde qualcosa? Il figlio di Stella e Sandro dov’è? Alimentati da un’atmosfera rarefatta e surreale che sembra immergere il racconto in un non-luogo, sospeso in una dimensione spazio-temporale indefinita e indefinibile.

Buona parte del merito di queste volute suggestioni sono date dalla location, grazie alla scenografia di Massimiliano Sturiale illuminata dalla fotografia di Timothy Aliprandi. Lodovichi stesso ha ammesso che il fatiscente bed and breakfast dove si ambienta il film è ispirato per gli interni (l’esterno non lo vediamo) a una vecchia nave, con le sue crepe, i cigolii del legno, l’instabilità data dalle onde del mare e dall’acqua che sembra traspirare dalle pareti, oltre che inondare l’esterno. La grande casa è di fatto un quarto personaggio, un custode di segreti, intento a celare la verità con gli spessi muri e allo stesso tempo a proteggere l’innocenza dalla violenza che si consuma all’esterno.

La stanza

Le dinamiche tra i personaggi sono importantissime ai fini della riuscita del film e se all’inizio sono poco chiare, quasi pretestuose nell’instaurarsi del conflitto, pian piano capiamo il grande disegno generale utile a unire tutti i tasselli. Se Giulio, il personaggio interpretato magnificamente da Guido Caprino, è il motore della vicenda e anche quello con il più facile appeal, colpisce molto Stella, interpretata da una bravissima Camilla Filippi (che era già stata diretta da Lodovichi in In fondo al bosco), fragile, vittima e carnefice, dolce ma combattiva, con un lavoro di recitazione in sottrazione esaltato anche dal look iconico del personaggio. Mentre Edoardo Pesce ne esce un po’ sacrificato, dalla fisicità imponente e dal caratteristico magnetismo ma con il personaggio meno complesso e più compassato del terzetto.

La stanza

Ricco di suggestioni che richiamano l’horror gotico classico, La stanza gioca abilmente con il genere fondendo echi di psycho-thriller con dinamiche da home invasion e condendo tutto con elementi fantascientifici che, una volta tanto per il cinema italiano fantastico, danno vita a un prodotto davvero originale e non risaputo o, ancor peggio, vecchio nell’idea. La stanza ha un obiettivo ben preciso e per perseguirlo riesce a suggerire sensazioni molto diverse tra loro, spesso in contrasto, e adottando un’impostazione scenica teatrale che dona al tutto un’impronta ancora più eccentrica e fuori dal comune.

Da segnalare anche le musiche magnetiche di Giorgio Giampà che culminano in Stella stai di Umberto Tozzi.

La stanza

La stanza è un film perfetto, dunque? Assolutamente no. Richiede sicuramente pazienza e attenzione da parte dello spettatore e si chiude in modo fin troppo edificante, in contrasto con l’aria malsana e repulsiva che si respira per tutta la durata del film. Però è un’opera che sa catturare, che incuriosisce per il continuo ribaltamento degli eventi e dei ruoli, che conferma la bontà del nostro cinema di genere quando c’è una visione personale e autoriale a condurre l’operazione.

La stanza è distribuito da Lucky Red in esclusiva su Amazon Prime Video.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Una storia originale che sa catturare la curiosità.
  • Guido Caprino e Camilla Filippi danno vita a personaggi davvero affascinanti.
  • La cura scenografica e formale generale.
  • La conclusione un po’ “facilotta”.
  • All’inizio può essere complicato entrare nella storia.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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