La terra dell’abbastanza, la recensione

Quello a cui stiamo assistendo in questi mesi è un momento particolarmente prospero per il cinema italiano perché si è tornati a quella varietà di generi, autori e interpreti che da troppo tempo mancava sui nostri schermi, drogati da un sistema e una casta che negli anni ha appiattito l’intero panorama cinematografico nostrano. Piccole e grandi produzioni ci parlano di criminalità, supereroi, storie fantascientifiche, fatti di cronaca riveduti, vite di uomini di politica e lo fanno con uno sguardo vivo, vitale, internazionale e proiettato a un futuro che, mai come oggi, ci appare così roseo. Uno dei più recenti esempi di questo rinascimento è senza ombra di dubbio La terra dell’abbastanza, esordio alla regia dei fratelli (gemelli) Damiano e Fabio D’Innocenzo, che fanno proprio il filone crime di matrice romana raccontando una storia morale che si pone quasi come un “anti-Gomorra”.

In La terra dell’abbastanza si raccontano le scorribande di Mirko e Manolo, due giovani della periferia romana la cui vita cambia per sempre quando, una notte, per sbaglio investono con l’auto e uccidono un uomo. Presi dal panico, i due fuggono a chiedere aiuto al padre di Manolo e solo il giorno dopo quest’ultimo scopre che la vittima è il pentito di un clan criminale. Padre e figlio decidono di prendere l’occasione al balzo e rivendicano l’omicidio in modo che il ragazzo possa entrare a far parte dello stesso clan con lavoretti che gli permettono di tirar su qualche soldo. Col passare dei giorni, Manolo porta dentro anche Mirko e i due si trovano coinvolti in una serie di crimini che annullano completamente la loro facoltà di distinguere il Bene dal Male.

Partendo da un presupposto che ci ricorda molto da vicino Non essere cattivo di Claudio Caligari, La terra dell’abbastanza è un film sull’amicizia e l’alienazione mascherato da crime movie. L’ambiente, i personaggi e alcuni eventi lo ascrivono in pieno al filone di cui fanno parte i successi seriali di Gomorra e Suburra, ma è da subito chiaro che il film dei fratelli D’Innocenzo è solo marginalmente interessato ad approfondire le dinamiche criminali e la scalata all’illegalità dei suoi personaggi. Piuttosto La terra dell’abbastanza si focalizza con convinzione sul rapporto tra i due protagonisti Mirko e Manolo, interpretati rispettivamente dagli ottimi Matteo Olivetti e Andrea Carpenzano, che trovano nell’incidente automobilistico che apre il film il pretesto per una crescita interiore che li porta a scontrarsi per la prima volta con la vita e con l’ingresso nell’età adulta. Quello che accade quella notte è un punto di non ritorno che pone ai due una drastica scelta: i ragazzi quella scelta la fanno e, ovviamente, è un percorso in discesa verso l’autodistruzione fatta di omicidi, spaccio di droga e sfruttamento della prostituzione (anche minorile). L’estrema nonchalance con cui i due si mettono al servizio del Male, compiendo con una inquietante incoscienza i più riprovevoli gesti, riflette su quanto siano malleabili le giovani coscienze di chi è nato e vissuto tra stenti e povertà.

I due giovanotti poco più che adolescenti non sono ricchi figli di gangster che, a loro volta, vogliono seguire le orme paterne come in Gomorra, non parlano per frasi fatte costruendo il culto del criminale con un codice ben preciso. Mirko e Manolo sono i figli della strada ma fondamentalmente educati come ragazzi onesti, giovanotti che si arrangiano come possono e cercano di aiutare le disagiate famiglie. Crescendo sembra che ogni valore, ogni principio svanisca e poco conta se i soldi vengono guadagnati facendo un lavoretto nella legalità o uccidendo un marocchino che non paga il pizzo, l’importante è (soprav)vivere in un mondo che sembra aver ripudiato questi ragazzi fin da quando sono nati.

Quello descritto dai fratelli D’Innocenzo è un ambiente romanzato ma estremamente credibile, i due protagonisti ci appaiono perfetti per dar vita a due ragazzi talmente ingenui da non rendersi conto della gravità delle situazioni in cui si cacciano, così come ci appare realistico l’ambiente in cui si muove l’azione che ci parla di criminalità con una normalità straniante e quotidiana, senza fare essenzialmente ricorso alla spettacolarità e al sensazionalismo a cui spesso questo cinema guarda.

Oltre ai due bravissimi protagonisti, abbiamo un cast di contorno assolutamente convincente, a partire da un Max Tortora lontanissimo dai personaggi da cabaret a cui ci abituati e impegnato in una figura tragica e ricca di macchie come il padre di Manolo; non da meno Milena Mancini, volto da fiction che qui impersona la madre di Mirko con grande intensità recitativa. Piccolo ruolo criminale per Luca Zingaretti, che ci mette la sua solita professionalità.

Insomma, il cinema italiano continua a crescere e cerca un pubblico che possa apprezzarlo anche al di fuori dei confini regionali. La terra dell’abbastanza è un piccolo film, ma sa parlare alle masse e lo fa con quella partecipazione e quell’empatia che non sempre si riescono a trasmettere, soprattutto in quel cinema italiano che va oltre la commedia.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Una storia potente raccontata con trasporto e partecipazione.
  • Attori bravissimi, i due protagonisti in primis.
  • C’è ancora una volta il traino del filone criminale che, soprattutto sul piccolo schermo, sta cominciando ad essere pericolosamente inflazionato.
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