Le otto montagne, la recensione

Pietro Gustai è un bambino come tanti. Vive a Torino, insieme alla sua famiglia, ma ogni estate è solito staccare dalla routine cittadina per trascorrere qualche giorno di spensieratezza immerso nella natura, ai piedi del Monte Rosa. Da ormai diversi anni, infatti, la famiglia di Pietro trascorrere le vacanze estive a Graines, villaggio di Brusson, un piccolissimo paese della Valle d’Aosta. A Graines vive solamente un altro bambino, Bruno, coetaneo di Pietro e figlio di una famiglia di allevatori locali. Tra i due bambini nasce rapidamente un’intensa e inaspettata amicizia tanto che Bruno finisce presto per unirsi alle lunghe escursioni in montagna che Pietro pratica con suo padre Giovanni. Ma la vita, si sa bene, a volte è strana: unisce le persone apparentemente più distanti per poi separarle alla stessa velocità. E a questa spietata regola non si sottraggono Pietro e Bruno, grandi amici pronti a trascorrere insieme ogni estate della loro infanzia ma destinati a perdersi completamente di vista con l’arrivo dell’adolescenza. Gli anni passano, Pietro ha ormai smesso da molto di recarsi a Graines e di conseguenza non ha più avuto notizie del suo amico. Un giorno però, subito dopo la morte improvvisa di suo padre, Pietro si trova costretto a tornare a Graines per scoprire cosa il genitore gli ha lasciato in eredità: un rudere mal messo sulle vette dei monti che circondano Graines. Tornato in quel piccolo paese della Val d’Aosta, Pietro trova proprio Bruno ad attenderlo.

Per anni, anzi per interi decenni, abbiamo intonato tutti in coro una triste canzone pronta a raccontarci le gesta di un cinema italiano agonizzante e prossimo alla morte. Ogni volta, alla sola comparsa di un titolo capace di portare il discorso cinematografico italiano fuori da certi standard, abbiamo invocato la così detta rinascita del cinema italiano salvo poi rimanere immancabilmente delusi. Perché quella “rinascita” non avveniva mai. Sembrava che nulla potesse realmente svegliare il nostro cinema da un sonno profondo pronto ad avvicinarsi sempre di più al coma eterno. Ma una rinascita, affinché possa davvero essere tale, non può essere improvvisa, ha bisogno di passare attraverso una lunga serie di film. E così, dopo decenni di cinema italiano atrofizzato nei temi e nei linguaggi, quella rinascita poteva avvenire solamente in modo lento e graduale.

Ed è proprio ciò che sta accadendo oggi. Quella rinascita non solo è finalmente sbocciata ma è tutt’ora in corso, sotto gli occhi di tutti noi. In questi ultimissimi anni, il cinema italiano non si è solamente svegliato ma ha proprio dimostrato di essere incredibilmente vivo. E oltre a questo, anche voglioso di sperimentare nuove forme narrativo/artistiche utili a riportare il Nostro cinema all’attenzione di un pubblico non più solo italiano ma squisitamente internazionale. Il cinema italiano vuole riprendersi le grandi platee, quelle di tutto il mondo, quelle dei grandi festival, quelle che gli hanno voltato le spalle (giustamente!) per un tempo innegabilmente troppo lungo.

Alla corposa lista dei recenti film italiani forti di un respiro internazionale (possiamo ricordare Freaks Out, Piove, L’angelo dei muri o Piccolo corpo) oggi si aggiunge anche Le otto montagne, trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Paolo Cognetti edito da Einaudi e vincitore nel 2017 del prestigioso Premio Strega.

Prodotto dall’italiana Wildside che cerca – e trova! – un interessante dialogo con Belgio e Francia, Le otto montagne è un ambiziosissimo tentativo di riportare il cinema italiano a prendere posto a quel tavolo dove siedono quelli che contano. Perché Le otto montagne non è solo un film che si ispira ad un modello internazionale ma è a tutti gli effetti un film capace di parlare a un pubblico di mezzo mondo.

Dopo esser stato presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes, dove il film ha ricevuto il premio della giuria (pari merito con il polacco EO), Le otto montagne si mostra ambizioso fino all’ultimo, quasi un po’ arrogante, e così approda nelle nostre sale con Vision Distribution proprio nella settimana di programmazione più importante dell’anno: la settimana di Natale. Una mossa apparentemente scellerata, non essendo assolutamente un tipico film delle feste, che pone l’opera in una condizione di rivalità diretta con almeno tre colossi natalizi: Avatar – La via dell’acqua di Cameron, il biografico The Fablemans di Spielberg e Il grande giorno, ritorno in sala del mitico trio Aldo, Giovanni e Giacomo. Una sfida decisamente audace che tutta via Le otto montagne riesce a vincere. Perché il box office italiano lo sta premiando, decretandolo come terzo miglior incasso nella settimana di Natale dopo – ovviamente – Cameron e dopo la commedia con Aldo, Giovanni e Giacomo.

Un risultato eccezionale che premia, senza mezze misure, il cinema italiano di qualità. Ma soprattutto che restituisce dignità e prestigio al nostro cinema d’autore. Perché alla fine, stringi e stringi, Le otto montagne questo è: uno splendido film d’autore come non se ne vedevano da tantissimo tempo.

E torniamo a quell’internazionalità di cui si diceva poc’anzi, quell’elevata ambizione che pone Le otto montagne su un piano decisamente diverso rispetto a tanti altri film d’autore realizzati nel nostro Paese. Le otto montagne è un film dal cuore squisitamente italiano, è un film ambientato in Italia, recitato con marcata cadenza linguistica locale ed è un film che, tra i tanti temi universali trattati, ci parla assolutamente dell’Italia. Eppure, è un film che decide saggiamente di affidarsi alle mani del belga Felix Van Groeningen, già regista del capolavoro candidato agli Oscar Alabama Monroe e del delicatissimo Beautiful Boy. Un regista indubbiamente capace di maneggiare le emozioni sul grande schermo e che, per l’occasione, si siede in cabina di regia insieme alla moglie Charlotte Vandermeersch con la quale decide di firmare il film.

Wildside non poteva fare scelta più azzeccata di questa, affidare un film difficile come Le otto montagne nelle mani esperte di un regista che non solo ha più volte dimostrato di possedere uno splendido gusto estetico (Alabama Monroe è un piccolo manuale di regia e messa in scena), ma anche di riuscire come pochissimi altri suoi colleghi a trattare certe emozioni e ad evocare alcuni precisi stati d’animo. Perché alla fine, quello che fa in questo film insieme a sua moglie Charlotte, è mettere in scena un’opera corposissima (147 minuti di durata) fatta quasi ed esclusivamente di sensazioni e suggestioni.

Croce e delizia de Le otto montagne, tanto dell’opera letterale quanto del film, è proprio quella di voler edificare l’intero racconto su una struttura narrativa decisamente debole. Non c’è una vera e propria storia da seguire e la trama del film, che se vogliamo può essere identificata nella costruzione del rudere per esaudire il sogno del padre di Pietro, viene esaurita e conclusa a circa metà del minutaggio complessivo. Ma questo perché Le otto montagne non ha nessun interesse a voler rifugiarsi in un racconto classico in cui ci devono essere necessariamente storie da seguire o fatti a cui appassionarsi.

Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, cineasti intelligenti e persino un po’ provocatori, continuano a giocare con il Cinema nell’accezione più positiva del termine. Se in Alabama Monroe, come possiamo ricordare, si portava a compimento una stupefacente lezione di montaggio decostruendo e frammentizzando la linea narrativa regolare, in Le otto montagne questa sperimentazione trasla sul piano dell’immagine. Oltre ad aver abbracciato un film che si fa forte di una storia debole, Felix e Charlotte decidono di traghettare il film verso una direzione ancora più audace ossia quella di privare l’opera di un’altra facile caratteristica: quella paesaggistica. Le otto montagne è un film interamente ambientato in montagna, in mezzo a spazi sconfinati e cime innevate, sarebbe stato facile, troppo facile, costruire un film che potesse trarre la sua magia dall’elemento naturale. Così il duo registico pensa bene di evitare l’effetto cartolina e privare il film proprio dell’elemento panoramico. Rifacendosi alla verticalità della montagna, ma dichiarando anche l’interesse esclusivo verso il fattore umano e non quello ambientale, Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch decidono di confezionare il film in un bellissimo formato video 4:3 che assume quasi l’aspetto di una severa ammonizione nei confronti dello spettatore: non bisogna perdersi nei paesaggi, semmai bisogna perdersi nell’animo dei personaggi!

Le otto montagne diventa perciò uno squisito trattato sugli esseri umani, su quegli stati d’animo primordiali che mettono in connessione strettissima non solo l’uomo con l’ambiente ma soprattutto l’uomo con l’uomo stesso. Era da tempo, infatti, che non si vedeva sul grande schermo un film così abile nel raccontare i semplici – eppure difficilissimi – meccanismi emotivi che possono instaurarsi tra due esseri umani dello stesso sesso. Le otto montagne è una meravigliosa storia d’amicizia maschile, un’amicizia pura e incondizionata che non pretende null’altro. Al centro del racconto, quasi uniche pedine del gioco, ci sono Pietro e Bruno che per l’occasione hanno i volti di Luca Marinelli e Alessandro Borghi. Due attori estremamente inflazionati sul nostro mercato, lo sappiamo bene, eppure due attori che sembrano nati per recitare insieme. Lo avevano già fatto una sola volta in passato, nell’ormai cult Non essere cattivo di Claudio Caligari, e adesso tornano fianco a fianco in quella che è probabilmente la migliore performance della loro corposa carriera. Quando sono in scena, Marinelli e Borghi hanno un’alchimia eccezionale e riescono a rendere davvero reale un rapporto d’amicizia che dovrebbe essere figlio della finzione cinematografica. I due sono così sinceri e affiatati che si fatica a credere, durante molte scene, che ci possa esser stata una sceneggiatura a guidare e legare certe battute.

Un film profondo sull’amicizia maschile, dunque, su quei rapporti che nella vita nascono un po’ per caso ma che poi sono destinati a durare per sempre. Ma Le otto montagne, nel suo voler essere un piccolo trattato sugli esseri umani, vuole andare molto al di là di questo e perciò imbastisce un racconto narrativo ed emotivo che accarezza molte atre sfumature esistenziali. In primis quel desiderio di libertà che accomuna molti esseri umani, quella voglia incontenibile di “fuga dal concreto” che spinge molti uomini a voler ricongiungersi con la Natura costi quel che costi, anche solo per pochissimi giorni. A questo proposito risulta particolarmente toccate la storyline legata al papà di Pietro, Giovanni, interpretato da un intenso Filippo Timi che, pur stando poco in scena, riesce a lasciare un segno decisamente profondo nel ricordo dello spettatore.

A concludere merita una menzione speciale la bellissima soundtrack del film, firmata da Daniel Norgren, che testimonia ancora una volta la sensibilità che Felix Van Groeningen ha nei confronti dell’apparato sonoro/musicale delle sue opere.

Insomma, Le otto montagne è un piccolo gioiello esistenzialista. Un film delicato, quasi anti-narrativo, che riesce a raccontare la maestosità delle montagne concentrandosi sull’apparato emozionale che vive dentro i suoi protagonisti anziché fuori. Un film destinato a crescere nella memoria dello spettatore ma anche a rimanere nel tempo, ostentando un’importanza cinematografica che non tutti i film riescono ad avere.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • Un racconto sensoriale particolarmente ricercato, sia sul piano narrativo che su quello emotivo.
  • Una storia d’amicizia maschile sincera, genuina, come poche volte è stata raccontata dal Cinema.
  • La regia di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch.
  • L’intero apparato visivo ma anche quello sonoro/musicale.
  • Luca Marinelli e Alessandro Borghi nella performance migliore di tutta la loro carriera.
  • La storyline di Filippo Timi, particolarmente emozionante.
  • La durata molto corposa, a tratti dilatata, potrebbe rappresentare un problema per qualcuno. Non per noi.
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