L’intrusa, la recensione
L’indagine sulla condizione umana, condotta tra minimalismo ed eloquenza, è al centro dell’opera seconda del cineasta campano Leonardo Di Costanzo, che ne fa un percorso di fuga senza via di scampo; una corsa disperata verso un irraggiungibile orizzonte.
Protagonista de L’intrusa, ambientato all’interno delle mura di un centro educativo, è la volontaria Giovanna (Raffaella Giordano), che si prende cura di bambini nati in famiglie disfunzionali.
Si accennava a una costruzione narrativa che non lascia spazio alla speranza; la pellicola, non a caso, esplora in profondità la fragilità innata dei personaggi senza tuttavia soffermarsi sulle sue origini, bensì mostrandone le conseguenze in tutta la loro ontologica claustrofobia. Raffaella Giordano, alla sua prima prova d’attrice, incarna efficacemente tanto il dolore di Giovanna che la sua cieca volontà di lottare, malgrado la scomoda presenza di Maria, la moglie di un serial killer, e dei suoi due bambini.
Di Costanzo, più che alla scrittura, si affida a un montaggio talvolta discontinuo, irrisolto come caratteri e problematiche al centro della vicenda. O, ancora, indugiando sulla metropoli partenopea all’esterno del centro: fredda, caotica e indifferente. Una distesa incolore priva di empatia – ben lontana dall’immaginario popolare – e anzi, contraddittoria e problematica quanto Giovanna e chi la circonda.
Che il regista si sia affidato più alla tecnica che alla spettacolarizzazione dei sentimenti è evidente anche dal ricorso alla macchina a spalla e dall’uso (essenziale) delle luci. Una scelta insolita nel panorama italiano contemporaneo e, in questo caso, funzionale e comunicativa.
Dietro questa apparente carenza di rigore e disciplina nell’uso della sintassi cinematografica, infatti, si cela la forza drammaturgica del lungometraggio, che conduce lo spettatore nel mondo di chi vive ai margini della società e di chi, persino in quel contesto, è guardato come un minaccioso outsider.
L’intrusa è un film che, pur in assenza di retorica, riesce a donare credibile consistenza ai drammi dei protagonisti, ed è un esempio – raro ai giorni nostri – di sapiente padronanza del mezzo tecnico come veicolo di emozione e credibilità.
Chiara Carnà
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