L’isola dei cani, la recensione

Nove anni dopo l’ultima fatica in stop motion di Wes Anderson, Fantastic Mr. Fox, il regista torna ad incantarci con L’isola dei cani, un film animato creato con la stessa tecnica.

Questo film dalle atmosfere cupe è ambientato nel 2037 in una città fittizia giapponese, Megasaki City, dove una terribile influenza canina ha fatto sì che tutti i cani della nazione venissero esiliati su un’isola discarica, la Trash Island. Il dodicenne Atari Kobayashi, nipote del malvagio dittatore fautore del crudele esilio, parte con il suo Junior-Turbo Prop e vola sull’isola alla disperata ricerca del suo fedele amico a quattro zampe, Spots, primo cane ad essere stato esiliato dalla città. Su Trash Island, il piccolo Atari fa amicizia con un branco di cani che lo aiuteranno a ritrovare il suo amico e ribalteranno il futuro della città.

L’isola dei cani, a differenza di Fantastic Mr. Fox, è un’opera originale scritta e diretta da Wes Anderson che, come sempre, si attornia da un cast stellare, spesso ricorrente nei suoi lavori, che questa volta conta Bryan Cranston, Scarlett Johansson, Tilda Swinton, Greta Gerwig, Bill Murray, Edward Norton, Jeff Goldblum, Yoko Ono, Kunichi Nomura, Harvey Keitel, Hakira Takayama, Frances McDormand, Bob Balaban, Liev Schreiber.

Quello di Anderson è un film dalla trama simile ad una favola ma che, invece, tocca temi parecchio complessi, usando un’isola come metafora dell’emarginazione e l’amicizia, l’altruismo e l’amore come unica cura. Il tutto condito dall’immancabile umorismo di Anderson, mai ovvio e spesso amaro. Non mancano nemmeno le scene bizzarre e i silenzi evocativi con cui Wes Anderson firma ormai tutte le sue opere. Silenzi che, in questo caso, diventano una vera e propria chiave di lettura del film poiché uno dei temi principali è l’incomunicabilità. Non è un caso che gli umani parlino tutti giapponese, solo a volte sottotitolati, mente i cani parlino inglese (che diventa ovviamente italiano nelle nostre sale). Tramite i silenzi, gli sguardi e le espressioni, i protagonisti riescono comunque a capirsi e, insieme, cambiare le sorti di un mondo che si sta chiudendo sempre di più.

La forza delle immagini e la messa in scena sono pienamente andersoniane, ma questa volta il tutto si fa influenzare, e non poco, dall’arte e lo stile giapponese, con chiari richiami ad Akira Kurosawa, il teatro Kabuki e il teatro Nō.

La messinscena pulita, lineare, bilanciata e iper-simmetrica della poetica di Anderson, fatta di inquadrature frontali, primissimi piani e un grande equilibrio, si sposa perfettamente con la geometria dell’arte giapponese e con la durezza del loro linguaggio.

I suoni duri della lingua dei personaggi e della soundtrack, che resta coerente con lo stile giapponese, sottolineano la tenerezza delle situazioni con l’asprezza del mondo in cui vivono i protagonisti, creando un’atmosfera pesante e asfissiante.

L’isola dei cani è nei cinema italiani dall’1 maggio distribuito da 20th Century Fox, dopo essere stato presentato alla Berlinale e aver vinto l’Orso d’Argento per la miglior regia.

Rita Guitto

PRO CONTRO
  • Un cast vocale magnifico.
  • L’Isola dei cani porta un messaggio davvero importante, veicolato in maniera semplice e poetica, con grande forza narrativa.
  • L’atmosfera un po’ pesante che a lungo andare genera un senso di fastidio nello spettatore.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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L'isola dei cani, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

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