Living with Yourself: quando il nostro Io ha bisogno di un upgrade!

Living with Yourself è la nuova serie originale Netflix che ha come punto di forza una interessante idea di partenza. Infatti la domanda che si pone è: cosa faremmo se dovessimo vivere letteralmente con un’altra versione di noi stessi?

La serie segue le vicende di Miles (Paul Rudd), un uomo sulla cinquantina che sta attraversando la classica crisi di mezz’età. Miles si sente vecchio e fiacco, in ambito sia personale che lavorativo: la routine con la moglie Kate (Aisling Bea, nota comica irlandese) è ormai diventata noiosa e ripetitiva e la sua posizione come pubblicitario non lo stimola più. Un giorno però, dopo una presentazione importante, nota che il suo collega Dan (Desmin Borges), prima un suo sottoposto, ora lo sta superando nella corsa alla promozione. Dan gli confida il suo segreto: una spa particolarmente efficace, che ti fa sentire come rinato. Dopo un primo momento di scetticismo, Miles decide di dare una sferzata alla sua vita. Preleva dal conto tutti i risparmi che lui e la moglie avevano messo da parte per dei trattamenti per la fertilità, e li spende nella spa. Il giorno dopo si sente come non si sentiva da anni. Gli sembra di vedere tutto come la prima volta e si innamora di nuovo della vita: a lavoro è di nuovo brillante, a casa ritorna ad essere un marito attento. Va tutto splendidamente, finchè non riceve una visita dal sé stesso vecchio, triste e sfatto che credeva di avere eliminato per sempre.

living with yourself

La premessa della serie è indubbiamente gustosa: è possibile essere una versione migliore di sé stessi? O un decadimento non solo è fisiologico ma è addirittura quasi sano? Nonostante le curiose domande che si pone, purtroppo la serie mostra fin dai primi episodi alcuni cedimenti strutturali. Infatti, per quanto interessante, la premessa si rivela poco prolifica. E questo purtroppo si vede in alcuni trucchi che lo sceneggiatore e creatore Timothy Greenberg usa per allungare il brodo. Intanto l’idea, all’inizio in effetti efficace, di scomporre la narrazione in tre punti di vista: quello di Miles Vecchio, di Miles Nuovo, e di Kate, che sono ripetuti in modo più o meno alternato lungo tutta la serie. Dopo pochi episodi questo espediente finisce per tirare la corda e porta inevitabilmente ad alcune ripetizioni. Inoltre, è impossibile non notare la presenza di almeno due storyline filler, anche divertenti, ma che non apportano molto alla narrazione (il rapimento e il personaggio del signore dei maiali). Per una serie da 8 episodi, è veramente troppo.

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Peccato, perché i temi e alcune situazioni sono intelligenti. Innanzitutto, la coppia sta tentando da anni di avere un bambino senza risultato, e con gli stessi soldi che avevano stanziato per le terapie di fertilità ottengono il Nuovo Miles. Che, pur essendo un adulto, è di fatto un bambino: è ingenuo, ottimista, senza esperienza ma pieno di energie. Altro punto interessante è il cambio di prospettiva di Kate, che all’inizio vuole il Nuovo Miles e tenta anche di iniziare una relazione con lui, ma tutta la sua spontaneità, la sua energia e la sua voglia di vivere finiscono per essere troppo stancanti per lei, inacidita dalla vita come il Vecchio Miles. E infine è impossibile non cogliere nel nome del protagonista una pluralità profetica. Sono tutte idee che funzionano e che prospettano una mordacia che purtroppo si esaurisce in fretta. Infatti gli ultimi episodi, oltre a essere appesantiti da una certa prevedibilità, portano a un finale conciliatorio che stona con l’atmosfera caustica della premessa.

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Living with Yourself si dimostra comunque una serie godibile e facile da vedere, in parte per la sua breve durata e soprattutto per due attori principali in parte. La serie è inoltre diretta da un duo ormai consolidato, quello della coppia Valerie Faris e Jonathan Dayton, famosi soprattutto per aver diretto Little Miss Sunshine.

Marianna Cortese

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